ROMA – “La madre del bambino morto a Passignano è una brava psicologa dell’infanzia, il padre è sempre stato un uomo tutto d’un pezzo, gli amici lo chiamano ‘l’orologio svizzero’ per quanto è preciso, pignolo, scrupoloso.” Questa è un frase delle tante raccolte dai giornalisti dopo la morte del piccolo Jacopo anch’egli ‘dimenticato’, come la piccola Elena, dal padre chiuso nell’automobile, sotto il sole.
Sarà una coincidenza ma anche il padre della bambina di 22 mesi, morta all’ospedale di Ancona poco più di una settimana fa, aveva questa caratteristica della precisione, lo raccontò la madre nel famoso video: : “Quello che è successo a Lucio può capitare a ognuno di noi, perché non ci si ferma mai e lui non si fermava (…) Tutto doveva essere perfetto”.
Tutti abbiamo avuto un collega o un amico che era tanto preciso nelle cose materiali quanto era ‘disattento’ nei rapporti umani. Forse molti di noi non lo hanno pensato, tradotto in pensiero verbale, forse non ne hanno mai neppure parlato, e come si può parlare male di una persona che non arriva mai in ritardo, che si ricorda le date, i numeri di telefono, che è sempre puntuale come un ‘orologio svizzero’. Però magari alcuni, forse quelli meno precisi, avranno sentito un non so che di gelido stando vicino a queste persone, un piccolo fastidio invisibile, che non permetteva di amarle o di star loro accanto per molto tempo. Forse i più attenti si saranno anche accorti che molto spesso la ‘precisione’ era accompagnata da una assoluta anaffettività.
Ricordiamo anche con quale lucidità e precisione, il padre delle gemelline svizzere scomparse ha pianificato la loro scomparsa. Eppure sappiamo che soltanto un pazzo può concepire e attuare un delitto così efferato.
E come si può legare la malattia mentale alla lucidità di questi esseri così perfetti, che quando succede un dramma vengono chiamate da vicini di casa, parenti, amici, mogli, parroci della parrocchia, “padre esemplare, brava persona, educata e … precisa”?
Abbiamo fatto un ricerca sulle dichiarazioni di psicologi e psichiatri, incontrate nei media, dopo la morte dei due bambini, per capire meglio cosa può succedere nella mente di queste persone, che hanno ‘dimenticato’ i figli in macchina causandone la morte.
Luigi Cancrini, il 23 maggio sulle pagine de L’Unità, ha parlato, – citando il solito Freud, padre, secondo lui, “della moderna psicoterapia” – di lapsus e amnesie, che sarebbero, sempre secondo Cancrini, “un segno importante del nostro livello di maturità personale.” L’eminente psichiatra ha anche dichiarato che tutti noi, che ci consideriamo sani di mente, possiamo essere improvvisamente: “Travolti dalle isole di follia che sono sempre in agguato. Dentro tutti noi e dentro ognuno di noi.”
A queste affermazioni è seguita una lettera di una ex allieva del dottor Cancrini, Irene Calesini, psichiatra e psicologa clinica: “Caro dott. Cancrini, no, non sono d’accordo: non ci sono isole di follia in agguato dentro ciascuno di noi, pronte a riemergere e a travolgere appena si lascia andare il controllo. Non è “normale” perdere completamente il rapporto con un essere umano, sino renderlo non esistente e quindi “dimenticarlo”, come fosse un oggetto. Stimato professore, come psichiatra del 21° secolo non può non sapere che si chiama pulsione di annullamento ed è malattia della mente. Non può non conoscere la teoria della nascita umana, del prof. Massimo Fagioli (…) “mio figlio di 11 anni, davanti alla TV mi ha chiesto: “mamma, è vero quello che dicono, che è normale quello che è successo?” No, non è normale. E’ tempo di dare altre risposte e gli psichiatri hanno grandi responsabilità in questo.”
Il 19 maggio Mauro Covavich scrive sul Corriere della Sera: “ …sappiamo, forse è l’unica cosa certa, che non si è trattato di dimenticanza. Semmai abbiamo la sensazione di avere a che fare con la madre di tutte le rimozioni, la scandalosa, violenta irruzione del Sacro, quel misterium tremendum in presenza del quale restiamo atterriti e affascinati.(…) È come se ieri fosse piovuto di nuovo, ancora una volta, il monolite di 2001 Odissea nello spazio, non c’è nessun accesso interpretativo per questo blocco di granito. È un evento impenetrabile, conviene averne rispetto, osservarlo da ragguardevole distanza e rinunciare alle spiegazioni.”
E c’è la lettera al giornale di due psicoterapeuti di Roma, Giovanni Del Missier, psichiatra, Maria Pia Albrizio, psicologa clinica, i quali non pensano che non ci sia “nessun accesso interpretativo” e che convenga averne rispetto: “… Come psicoterapeuti non crediamo a Covacich che, ricorrendo all’immagine del monolite di 2001 Odissea nello spazio, afferma “È’ un evento impenetrabile” (…) e pensiamo al contrario che la ricerca scientifica debba approfondire la questione.(…) Al riguardo segnaliamo che la comprensione della Pulsione di annullamento, proposta nel 1972 dallo psichiatra Massimo Fagioli in Istinto di morte e conoscenza (…) potrebbe contribuire a rendere praticabile una ricerca sulla patologia mentale, affettiva e cognitiva, alla base del fenomeno umano (e non sacro) dell’assenza e delle sue tragiche conseguenze.”
Dopo qualche giorno, il caso di Jacopo, un altro dramma identico e, sui media, identiche affermazione che eludono le altre decine di articoli e lettere di psicoterapeuti, psichiatri e psicologi clinici che affermano scientificamente che la causa queste “dimenticanze” ha un nome: “pulsione di annullamento”.
Lorenzo Mondo sulla Stampa il 29 maggio scriveva: “Dicono che non c’è da scandalizzarsi per simili dimenticanze, che il nostro cervello attraversa fasi di amnesia e che, insomma, potrebbe toccare a tutti di soggiacere a situazioni così abnormi. Mi sembra, con tutto il rispetto, che stiano esagerando …” Anche a noi, come al giornalista della Stampa, sembra che stiano esagerando. Ma non ci trova più d’accordo quando anche lui interpreta banalmente le cause inconsce: “Possiamo cioè ipotizzare, con beneficio d’inventario, che i due genitori (il padre di Elena e quello di Jacopo N.d.R.) siano vittima di una frenesia che insidia le nostre esistenze: la preoccupazione per il lavoro, il mutuo da pagare, le vacanze da programmare (…) Tutto ciò che porta a obliterare i sentimenti e gli affetti, a non concedergli il primo posto nella nostra vita. Se colpa c’è, è in una disattenzione che si produce per gradi e viene da lontano, prima di manifestarsi nelle vampate omicide del solleone.”
Non siamo d’accordo con Lorenzo Mondo perché egli esclude ciò che è pubblico da quaranta anni e che lui chiama “obliterare” ovvero la “pulsione di annullamento”. Pensate che il padre di Jacopo ha affermato di non essere a conoscenza neppure del caso della piccola Elena, altro che ‘obliterare’, più annullamento della realtà circostante di così!
Lo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Masini, professore di Psicologia Dinamica all’Università di Chieti, ha anch’egli le idee molto chiare su questi due eventi tragici. Ad un giornalista che gli domanda: “E’ dimenticanza? È un black-out improvviso?” Masini risponde: “No, è pulsione di annullamento, una parola, un concetto, una teoria, oggetto sempre più di molta attenzione e considerazione da parte del mondo psichiatrico e dei media. (…) La pulsione di annullamento è un’attività inconscia che rende l’altro non esistente, mai esistito e che porta all’anaffettività, per cui si perdono gli affetti ed il rapporto affettivo verso una bimba o un bimbo”.
Ci chiediamo i motivi che per tanti anni hanno portato ad una vera e propria ‘pulsione di annullamento’ verso questa teoria che ora viene insegnata nelle università italiane. Ormai, in psichiatria, ‘obliterare’ la ‘pulsione di annullamento’ è come avere la penicillina e non usarla per salvare vite umane.