Studenti in corteo. Parlano i manganelli

ROMA – Non avremmo mai voluto assistere a quanto accaduto oggi in diverse città d’Italia, dove migliaia di studenti erano scesi in piazza per protestare contro i tagli e le riforme scolastiche.

Sembrava di essere ripiombati in quel luglio del lontano 2001 durante il G8 di Genova. L’epilogo ormai è noto a tutti e il copione non cambia, è sempre lo stesso da un po’ di tempo a questa parte. Anche i protagonisti sono sempre gli stessi: da una parte ci sono i manifestanti siano essi studenti, lavoratori, disoccupati o solamente cittadini esasperati intenzionati a reclamare un diritto, dall’altro gli agenti in tenuta antisommossa il cui compito dovrebbe essere quello di mantenere l’ordine pubblico.

E poi c’è il terzo incomodo, ovvero la vera causa dell’effetto finale o quella che vogliono farci credere: il gruppuscolo dei facinorosi onnipresente.  Siano essi anarchici, black block, infiltrati come avrebbe voluto il defunto Cossiga o ultras promnti a sfogare i loro istinti barbari, poco importa. Prima il lancio dei lacrimogeni, poi scattano le cariche nel fuggi-fuggi generale e infine arrivano le terribili manganellate, quelle che aprono profonde ferite sulla testa e lasciano le macchie di sangue nero sull’asfalto grigio. L’unico neo è che spesso nella mischia a rimetterci è il più debole, “l’onesto”, colui che crede nella protesta pacifica come manifestazione democratica sancita dalla Costituzione Italiana. Insomma, in questo caso,  esserci e credere in qualcosa assume un significato che a volte può addirittura oltrepassare la stessa protesta. Così molti giovani si sentivano questa mattina in piazza uniti dalla voglia di cambiare, senza mollare, senza arrendersi di fronte a un futuro il cui orizzonte è buio come la pece.

Invece, oggi i feriti si sono registrati da entrambe le “barricate”. Solo a Torino cinque contusi e 15 fermati.  Scontri a Milano e a Roma dove gli studenti – sempre quelli che nella mischia si trovavano per esercitare un loro diritto – hanno denunciato di essere stati picchiati, trascinati a forza, perfino minacciati da agenti che gli puntavano il manganello alla gola. Alcune immagini riprese e poi lanciate in rete lasciano poco spazio alla libera interpretazione. Immagini davvero forti che non avremmo voluto vedere.

Insomma, da dove viene tutto questo astio, da quale pulpito giunge l’ordine perentorio, degno di un paese sudamericano, di cancellare la voce di una generazione di giovani, alcuni di appena 15 anni,  i quali – vale la pena dirlo per onestà intellettuale – hanno già ereditato  una situazione socio-economica e ambientale a dir poco disastrosa e dalla quale sarà sempre più difficile uscire.

Le voci critiche rispetto a quanto successo e a chi ha gestito una manifestazione con il pugno di ferro si sono levate da sinistra come da destra. Non è ammissibile attaccare con  forza bruta –  facendo di tutta un’erba un fascio – quei giovani che rappresentano il nostro futuro, quelli a cui hanno tagliato l’istruzione, annullato la ricerca, cancellato la speranza di diventare futuri lavoratori. Così, senza falsa retorica, si seppellisce una generazione, si impone la legge del più forte in cui la voce del “padrone” è legge e deve essere accettata senza mai entrare in polemica.  

Dopo questo finale, tutto da dimenticare, si è addirittura levata la voce di Elsa Fornero, che ha detto testualmente: ” quando si è giovani la protesta è naturale, ma il dialogo deve sempre esserci”.  Parole sacre, anche se  bisognerebbe dire al ministro che quando si è raggiunta un’età apparentemente matura essere in grado di ascoltare quello che hanno da dire i cittadini, siano essi vecchi o giovani è cosa saggia, invece di far parlare il manganello. E in questo caso le lacrime di coccodrillo servono a ben poco.

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