Caporalato. Quello che Saviano non dice

ROMA – Nella puntata di “Che tempo che fa” di ieri Roberto Saviano ha deciso di portare alla ribalta delle cronache la bella storia di Yvan Sagnet, giovane camerunense che due estati fa si è reso protagonista del clamoroso sciopero dei braccianti a Nardò contro il caporalato e lo sfruttamento delle braccia nelle campagne pugliesi.

La scelta di Saviano è stata coraggiosa perché nel nostro paese è davvero difficile parlare di agricoltura e delle complesse dinamiche che “regolano” il mercato del lavoro in questo settore.
Il grande pubblico ha apprezzato il monologo dello scrittore e la breve testimonianza di Yvan. A trasmissione appena conclusa in tanti sui social network scrivevano che d’ora in poi mangiare un piatto di pasta al pomodoro sarà diverso.
Sapere infatti che dietro ad un prodotto simbolo del Made in Italy si annidino gli interessi delle cosche mafiose e che nel nostro paese esistano ancora gli schiavi è assolutamente sconvolgente.
Saviano ha fatto bene quindi a portare alla luce questa drammatica e cruda realtà.
Ma c’è una storia che nel suo lungo monologo non ha voluto raccontare.  

La battaglia di Yvan Sagnet per introdurre il reato

Ha detto infatti lo scrittore: “E’ grazie ad Yvan e alla sua battaglia se in Italia è stato introdotto il reato di caporalato”.
E’ vero, lo sciopero dei braccianti di Nardò è stato un fatto epocale ed ha dato un forte impulso all’iter di una legge contro il caporalato che da mesi giaceva in Parlamento.
La legge in questione, però, è stata fortemente voluta e richiesta a gran voce dal sindacato, dalla Cgil e da due categorie – la Flai e la Fillea – che rappresentano i lavoratori agricoli ed edili, che sono quelli direttamente colpiti dalla piaga del caporalato.
Perché omettere tutto questo? Perché ignorare che dietro a questa grande battaglia di civiltà ci sia il sindacato? Non è un dettaglio da poco: su questo terreno non c’è la politica, non c’è la classe imprenditoriale, non c’è l’associazionismo cattolico.
C’è il sindacato, anzi c’è la Cgil.

Ignorate iniziative  della Cgil contro schiavismo e sfruttamento

Saviano ha deciso di mandare un messaggio, forse di più facile ed immediata comprensione ma fuorviante e forse anche controproducente, secondo il quale per sfidare i caporali e le logiche mafiose occorre essere una sorta di super-eroe.
Non è così e la battaglia del sindacato contro il caporalato, lo sfruttamento e lo schiavismo sta li a dimostrarlo.
La lotta alla mafia la fanno ogni giorno tanti uomini e tante donne con la semplicità delle loro azioni, senza clamori, senza grandi palcoscenici.
Non può e non deve passare l’idea che si tratti solo ed esclusivamente di atti isolati e spontanei.
Al sindacato si possono addossare tante colpe e si possono muovere innumerevoli critiche. Non si può però non raccontare dello straordinario e quotidiano lavoro che svolge in favore della legalità e della giustizia sociale nei campi e nei cantieri di tutta Italia. Così come non si può non segnalare l’impegno di centinaia di giovani e di pensionati organizzati dalla Cgil, dallo Spi e dall’Arci che da anni lavorano ogni estate nelle tante terre confiscate alle mafie in Sicilia, Calabria, Campania e Puglia.
Perché poi limitarsi a dire che dietro al pomodoro c’è la mafia senza ammettere che nel nostro paese ci sia un tessuto imprenditoriale che fa profitto sfruttando le braccia e calpestando la dignità dei lavoratori.

 In combutta mafie e Imprenditori senza scrupoli

E’ vero, in agricoltura le mafie la fanno da padroni, dettano legge e gestiscono direttamente tutta la filiera agricola, dal campo alla tavola.
Ma c’è anche un’altra verità, forse meno scenica e meno spettacolare che ci racconta di imprenditori senza scrupoli che pagano i lavoratori tre euro all’ora solo ed esclusivamente perché gli conviene, perché ciò ingigantisce i loro guadagni e perché a pochi interessa che dietro ad un piatto di pasta ci sia la miseria e lo sfruttamento di tanti uomini e tante donne venuti da lontano.
Chiamiamola come vogliamo: che sia bieco liberismo o più semplicemente la “banalità del male” conta poco perché resta una verità incontestabile.
Saviano ieri sera poteva raccontare anche tutto questo ma ha scelto di non farlo.
Al grande pubblico ancora una volta è stata raccontata una parte della storia.
La speranza è che un giorno possa conoscerla tutta e per intero.

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