Senza lavoro non c’è reddito, non si consuma, non si cresce

ROMA – I nodi vengono al pettine. La bomba sociale, innescata negli anni del governo Berlusconi e che Monti non ha saputo né potuto disattivare, è sul punto di esplodere. La disoccupazione, già all’11,2 per cento, è attesa in crescita anche per questo e per il prossimo anno, i giovani senza lavoro, oggi poco sotto il 37 per cento, non hanno prospettive concrete, mentre il sistema di protezione sociale, indebolito dalle decisioni improvvide degli ultimi esecutivi, si sta rivelando del tutto inadeguato a fronteggiare le crescenti necessità.
Dentro questa crisi, però, c’è qualcosa di più ed è bene che la politica ne prenda cognizione: gli italiani impoveriscono. Una parte importante delle famiglie – sei su dieci, secondo una recente indagine dell’Eurispes – è costretta a chiedere prestiti o a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese e far fronte alle necessità più impellenti. Il protrarsi di questa situazione mette in discussione il vecchio, consolidato modello basato sulle risorse risparmiate dalle precedenti generazioni. Gli esempi dei nonni e dei padri che finanziano con una parte delle loro pensioni i figli in cassa integrazione e i nipoti con lavori precari è sotto gli occhi di tutti, ma lo sarà sempre meno.
La rete di sostegno familiare oggi non regge più e il motivo è semplice. Gli stipendi non tengono il ritmo dell’inflazione. La retribuzione media, nel 2012, è aumentata dell’1,5 per cento – l’incremento più basso degli ultimi trent’anni – mentre il costo della vita è cresciuto del tre per cento. I prezzi che crescono il doppio dei salari, per milioni di lavoratori dipendenti, compresi quelli non toccati dalla cassa integrazione e dalla disoccupazione, significano minori risorse, minor potere d’acquisto. In una parola, impoverimento. E con gli stipendi, da due anni, sono bloccate le pensioni tre volte il minimo. Tradotto, una perdita secca di reddito reale pari al 5-6 per cento. Questo, mentre la pressione fiscale – targata Berlusconi prima, Monti poi – è in aumento costante. Un trend generalizzato che sta mettendo in ginocchio anche il modello di welfare fai da te. Con conseguenze, per il paese, inimmaginabili.  

Per questo motivo occorre imprimere una svolta e scommettere sulla crescita. Per raggiungere l’obiettivo una leva fondamentale è costituita dall’innalzamento del potere d’acquisto delle famiglie, che si ottiene attraverso un incremento di retribuzioni e pensioni che deve essere in grado di coprire l’inflazione e di distribuire risorse aggiuntive derivanti dalla crescita della produttività. Un atto non più rinviabile in un paese in cui un ventennio di pensiero neo liberista dominante ha portato a una riduzione costante del reddito (la Cgil parla di otto punti percentuali) in precedenza devoluto ai salari.
Le politiche di solo rigore vanno superate. Senza crescita gli stessi conti pubblici alla lunga non reggono. Vanno trovate risorse per rilanciare gli investimenti nelle grandi opere pubbliche; vanno riaperti, da parte delle banche, i rubinetti del credito alle piccole e medie imprese; va alleggerito il peso del fisco; va varato un piano straordinario per l’occupazione giovanile; va corretta la riforma del mercato del lavoro. Occorre ridurre il numero dei contratti precari e puntare al contratto di apprendistato per il primo impiego dei giovani. E si deve proseguire sulla strada già intrapresa al tempo del governo Prodi, quella di far costare meno il lavoro stabile attraverso incentivi all’impresa e una diminuzione strutturale del costo del lavoro.  
Per lo stesso motivo occorre ripensare al nostro sistema di welfare. Non per ridimensionarlo, ma per razionalizzarlo e renderlo più efficace e universale, introducendo anche in Italia il salario minimo per coloro che non hanno un contratto di riferimento, come i lavoratori a progetto, e potenziando gli ammortizzatori sociali tradizionali, come cassa integrazione e mobilità, che vanno adeguati al perdurare della recessione economica e all’aumento della disoccupazione. Le protezioni sociali debbono durare più a lungo e la cassa integrazione in deroga va rifinanziata.

Senza lavoro non c’è reddito, non si consuma, non si cresce. Senza uno stato sociale forte non ci sono né giustizia né equità.

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