Roma bene comune, un ‘democratico’ scontro tra correnti

ROMA – E’ di nuovo tempo di primarie. Il centrosinistra si appresta a scegliere il prossimo 7 aprile il proprio candidato sindaco alle elezioni comunali e quelli alla Presidenze dei Municipi. La situazione non si annuncia facile. Alle recenti elezioni politiche lo tsunami del “Movimento 5 stelle” guidato da Beppe Grillo ha fatto sentire la sua voce tenorile anche a Roma.

Primo partito in città, soprattutto nei quartieri più popolari e periferici. Diventato però secondo dietro al Pd, nello stesso giorno e nelle stesse urne, alle contemporanee elezioni regionali che hanno visto la vittoria netta di Zingaretti.

Questo dice come sia importante, da parte dei partiti del centrosinistra Pd e Sel, azzeccare una candidatura non troppo consumata dall’andazzo partitocratico, di buona immagine e di buona stampa. Tale ovvietà però la dice lunga sulla crisi dei partiti anche quelli progressisti oscurati dal personalismo, più o meno carismatico, che ormai impera pure da quelle parti che li ha portati negli anni scorsi, per esempio, ad affidare le sorti elettorali alla notorietà del personaggio raccattandola, il più delle volte, nel luogo in questo senso più elettivo e selettivo: la TV. Di qui la sequela dei cosiddetti mezzibusti che nei lustri precedenti ci sono stati propinati: da Badaloni a Marrazzo, dalla Gruber a Santoro, ultimo Sassoli.

O anche la selezione impropria che lo stesso mezzo ha provocato nella rappresentanza politica facendo assurgere personaggi, come la disastrosa e fallimentare Polverini, altrimenti detta “signora gnè gnè”, coltivata da Floris – vero quanto improvvido kingmaker di nascenti star politiche – nelle sue trasmissioni di Ballarò. Una signora che ha praticamente distrutto l’istituto regionale e che però, grazie alle sue sapienti comparsate televisive, aveva ricevuto pure gli apprezzamenti di un altro kingmaker delle antenne, Walter Veltroni, che l’avrebbe voluta volentieri nelle file del centrosinistra.

Ma per tornare alle romane primarie a contendersi la candidatura nel raggruppamento progressista sono in sei. Il Pd come un sol uomo ne ha candidati quattro (Gentiloni, Prestipino, Marino oltre all’immancabile mezzobusto Sassoli calato da Strasburgo) uno il Psi, Di Tommaso, e uno Sel, la pugnace Gemma Azuni che rifiutando di ritirarsi come ha fatto invece Luigi Nieri in favore di Marino – pronubo dell’accordicchio subcorrentizio Vendola – ha mantenuto in campo una candidatura della sinistra.
A completare il quadro poi la pletora dei candidati a presidente dei 15 Municipi: ben 62. Il record è detenuto dal Municipio II (ex II+III) con 9 concorrenti seguito a ruota dal V (ex VI+VII) e dal VII (ex IX+X) con otto. Ogni aspirante alla candidatura capitolina – lo stesso vale per quelle nei Municipi – naturalmente si presenta con il suo programma dove insieme ad alcune, poche per la verità, cose serie si sventolano impegni simili per ecumenismo ai “dieci comandamenti” accanto, perché la cosa è diventata di moda, alla cura, difesa, salvaguardia dell’agro romano all’insegna dell’idolatrico “consumo di suolo zero”, della “rigenerazione urbana”, del riuso, restauro e ristrutturazione del costruito, della green economy, dello sviluppo sostenibile e via verdeggiando.

Naturalmente per cotanta nobiltà d’intenti non è previsto lo strumento: la revisione del PRG che nessuno dei candidati – a parte la consigliera Azuni che su questo ha già presentato una mozione in Campidoglio – si guarda bene dal contemplare, non sia mai che si possa mettere in discussione la massiccia dose di 35-40 milioni di mc. di edificazioni ancora prevista. Per intanto volano le intimazioni a ritirarsi rivolte a Sassoli da parte dei colleghi Marino e Gentiloni per i manifesti abusivi con cui ha alluvionato la città rispedite ai mittenti in nome della libertà di stampa scambiata per la libertà di imbrattamento.

In questo bailamme di personali programmi sono scomparsi quelli del partito di appartenenza. Quale sia il programma del Pd o di Sel non è dato sapere. Nell’ultima direzione romana del Pd tutti i documenti votati riguardano le regole per le primarie. Poi hanno votato anche un ordine del giorno che invita, a scanso di dimenticanze, ad “una immediata pubblicazione in rete (sul sito del Pd Roma) del programma politico approfondito del Partito al fine di permettere la consultazione (sic! n.d.r.) sia da parte dei cittadini che dei gruppi dirigenti municipali”. Parimenti non è dato sapere il programma degli altri partiti in concorso. A parte quello del M5s rintracciabile sul web.

Quando si parla della crisi dei partiti bisognerebbe più correttamente parlare della crisi dei non-partiti. Un partito infatti si contraddistingue per una comune visione della società e del mondo, una visione derivata da ideali e financo utopie che, innervata su forze sociali ed interessi di riferimento, dà origine a programmi ed obiettivi più o meno precisi e ad un’azione conseguente per perseguirli tramite un’organizzazione delle proprie forze democratica e consona agli scopi. Un partito, lo dice la parola stessa, è una parte della società anche quando è una combinazione di più parti. Chi aspira al partito che rappresenta tutti al 100% di solito mira a far sì che la propria parte sopprima le altre parti e quindi l’essenza stessa della libertà e della democrazia il cui dato costitutivo, come si sa, è il pluralismo politico.

Essere parte, però, non deve precludere una visione del bene comune e dell’interesse pubblico che vada oltre i propri riferimenti  sociali; obiettivi da perseguirsi attraverso la politica del confronto, dello scontro, delle necessarie alleanze. Questa azione complessa di ricerca del consenso che trascende quello elettorale si chiama egemonia.
Da questo punto di vista i partiti del centrosinistra che a Roma si apprestano alla competizione elettorale anticipandola con le primarie interne appaiono appunto dei non-partiti, puri contenitori di candidati, degli open-space dove è difficile rintracciare un comune vedere e un idem sentire. Di questo loro “non essere” è emblema eclatante anche la desertificazione di idee, programmi, iniziative dei rispettivi siti internet.

Al tempo stesso all’eclettismo politico fa riscontro una rigida organizzazione interna di tipo feudale dove al feudatario-capocorrente fanno seguito valvassori e valvassini spesso in lotta fra loro, capi di sottocorrenti o più propriamente cordate di specifici, materialissimi e clientelari interessi. Una struttura chiusa alla partecipazione dei cittadini che, infatti, se ne tengono lontano. Questa conformazione fa sì che anche le elezioni primarie, pensate come momento di partecipazione democratica una tantum, scadano in un sempre più ristretto scontro di correnti superorganizzate interne ai partiti medesimi.

A farne le spese non sono solo gli elettori del centrosinistra ma tutti i cittadini e anche la carne viva della democrazia deprivata della spina dorsale del corpo intermedio che la regge, i partiti appunto, che, come dice la Costituzione, dovrebbero essere lo strumento tramite cui tutti i cittadini possono “…concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49).

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