Scalfari ‘arruola’ Togliatti e Berlinguer e stravolge la storia

ROMA – Ho atteso invano che la “ Repubblica” pubblicasse una mia lettera a commento  dell’editoriale di Eugenio Scalfari, pubblicato il 28 aprile, dal titolo “Un medico per l’Italia malata”,  il quale ha cercato di trovare una qualche stampella storica a giustificazione della scelta del PD di formare un governo insieme al PDL di Berlusconi e a “Scelta civica” di Monti e Casini. Ovviamente il quotidiano non era obbligato a pubblicare la mia lettera.

Affido a Dazebao il mio commento allo scritto del fondatore di “ Repubblica” nel tentativo  di dare un contributo alla ricerca storica e alla verità dei fatti da cui essa non può prescindere.

Scrive  Scalfari nel suo articolo: “Nel 1944, quando la guerra era ancora in corso e le armate contrapposte si fronteggiavano sulla cosiddetta ‘linea gotica’ a ridosso del Po, Palmiro Togliatti riuscì ad arrivare da Mosca a Napoli. Il Pci era stato ricostituito nel Sud dai dirigenti clandestini finalmente alla luce del sole; a Napoli il segretario locale del partito era Cacciapuoti, comunista a 24 carati. Sbarcato a Napoli, Togliatti arrivò inaspettato a casa di Cacciapuoti.

Commozione, abbracci, convocazione immediata di tutti i dirigenti del partito, cena improvvisata, entusiasmo. Dopo cena si fece silenzio. Togliatti disse che voleva per l’indomani l’assemblea di tutti gli iscritti, dove avrebbe annunciato le decisioni da mettere in atto. “Ci puoi anticipare quali sono le decisioni?” disse Cacciapuoti e Togliatti rispose “riconosceremo il governo Badoglio e l’appoggeremo”. Lo sbalordimento fu generale, ma Togliatti spiegò che non c’era altra via almeno fino a quando l’armata americana non fosse entrata a Roma. Pochi giorni dopo incontrò Benedetto Croce che era arrivato da tempo alle medesime conclusioni e faceva parte del governo Badoglio.

C’è ancora un altro esempio che riguarda Berlinguer. Quando il Pci dall’astensione passò al vero e proprio ingresso nella maggioranza, il presidente del Consiglio designato da Moro era Andreotti, sicché il passaggio dalla “non sfiducia” al voto in favore del governo ebbe Andreotti come interlocutore. Moro fu rapito lo stesso giorno del voto che però era stato deciso già prima da Berlinguer.

La lettera  che Repubblica non ha pubblicato

 Egregio dott. Scalfari
Capisco lo sforzo per indurre la sinistra ad ingoiare il rospo di un governo con il Pdl di Berlusconi, ma se si vogliono all’uopo richiamare esempi storici sarebbe bene non stravolgerli.

Nell’aprile del ’44 Palmiro Togliatti, leader del PCI, non si limitò affatto a riconoscere il governo Badoglio. Fece ben di più e di diverso. Il Cln dei partiti antifascisti era incagliato sulla questione dell’abdicazione del re. Togliatti propose di mettere momentaneamente da parte la questione fino alla liberazione di Roma – quando il sovrano si sarebbe ritirato a vita privata sostituito dal figlio Umberto con la formula della Luogotenenza – e di demandare la questione della forma istituzionale dello Stato ad un’assemblea costituente eletta a suffragio universale dopo la fine della guerra. L’iniziativa pubblica di Togliatti sbloccò rapidamente l’impasse ciellenista portando alla formazione del governo di unità nazionale, un governo del tutto nuovo perciò, con dentro tutti i partiti antifascisti in via di ricostituzione, presieduto da Badoglio.

La guerra di Liberazione contro gli occupanti tedeschi

La rapidità fu dovuta al fatto che c’era da condurre una guerra di Liberazione contro gli occupanti tedeschi e i loro manutengoli repubblichini. E tutti capivano che quella era la questione principale. Anche gli Alleati chiedevano un governo di unità nazionale già da molti mesi: dalla Conferenza di Teheran del novembre del ‘43.

Benedetto Croce che, sia detto per inciso, non faceva parte del governo Badoglio, era sì della stessa opinione ma, nel suo intimo, non la prese bene perché di fatto era stato sopravanzato dall’iniziativa togliattiana. L’intesa fu tra forze diverse, molto diverse, ma tutte impegnate, compresa la non rispettabile monarchia, a combattere il nazifascismo.

Anche il secondo esempio da Lei portato non è del tutto esatto. Nel marzo del ’78 il PCI di Berlinguer, dopo aver provocato la crisi del “governo delle astensioni” di Andreotti chiedendo almeno la formazione di una maggioranza solida, si disponeva, come Lei correttamente ricorda, a votare quella soluzione ottenuta, espressa in un governo monocolore democristiano sempre presieduto da Andreotti. La lista del governo popolata dalle solite facce, però, era indigeribile e la mattina del 16 marzo la Direzione del PCI avrebbe discusso e deciso se votare o meno quel governo. I dubbi erano molti e di molti. Moro, consapevole del rospo che si chiedeva ai comunisti di ingoiare, mandò la sera del 15 a Berlinguer, tramite
Tullio

 Il messaggio di “ giustificazione” di Moro al leader del Pci

Ancora, un messaggio di giustificazione (la spartizione correntizia) – recapitato a Luciano Barca che questo ha testimoniato nel suo libro “Cronache dall’interno del vertice del PCI” – garantendo personalmente, lui non Andreotti, che il processo di rinnovamento sarebbe andato avanti  Il suo rapimento e la strage della sua scorta da parte delle Br all’indomani mattina troncarono ogni discussione, ma non i dubbi e le contrarietà, nei dirigenti comunisti; e il PCI votò subito la fiducia al governo Andreotti per garantire al Paese una guida in quei terribili frangenti.

Il Presidente Napolitano certamente, come Lei dice, deve essere al di sopra delle parti e garantire tutti. E questo lo si fa innanzitutto garantendo e proteggendo la Costituzione dove c’è scritto che la legge è uguale per tutti e che tutti sono eguali davanti ad essa. Se, in un modo o nell’altro, si venisse meno a questo primigenio principio fondativo, come purtroppo è già successo più volte in questi anni e sappiamo a beneficio di chi, l’interesse del Paese nel presente e nel futuro non se ne gioverebbe per nulla.

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