“La grande bellezza”, così è se vi pare….

ROMA – Un mio amico, qualche tempo fa, mi chiese con entusiasmo di tornare a vedere “La grande bellezza”, aggiungendo che lo faceva per la quarta volta. Sono rimasta basita, perché  l’opera di Sorrentino, pur essendomi piaciuta, non mi aveva fatto innamorare, l’avevo  giudicata affascinante ma imperfetta. A conferma che nemo profeta in patria.  Pur vero che noi italiani non abbiamo mai provato il fascino dell’esotico, che molto può aver influito a Los Angeles.

Del resto la critica non sempre da noi lo aveva apprezzato. Alessandra Levantesi Kesich su La Stampa aveva scritto che: “Ci sono anche feste esagitate e cafone, cardinali che parlano di alta cultura, loschi maghi del lifting: ma restano grotteschi frammenti di un puzzle che non arriva a comporsi in disegno unitario. Colpa di un’Italia allo sprofondo e senza più identità; colpa anche di una sceneggiatura che sotto l’aspetto di concertare significative scene di gruppo si presenta debole (…)

Lo stesso grande Paolo Mereghetti sul Corriere della sera : “Il Sorrentino sceneggiatore dà l’impressione di voler percorrere una strada diversa, fatta di troppe citazioni letterarie (Celine, Flaubert due volte, Bellow, Dostoevskij e ne dimentico) e di facili giochini (Romona, Roman, Roma… Era proprio necessario?) alla fine dei quali ti sembra di ritrovarti al punto di partenza, senza aver capito molto della bellezza (e della bruttezza) di Roma”

Gloria Satta su “Il Messaggero”, lo aveva trovato “travolgente e imperfetto”, sullo stesso giornale Fabio Ferzetti “Non tutto è sempre a fuoco, forse per eccesso di spunti e di slanci. Ma intorno a quella città affollata di visioni bizzarre, apparizioni enigmatiche, intuizioni memorabili, prende corpo un film denso e inconsueto con cui faremo i conti a lungo”

E recentemente   Sciltian Gastaldi su il Fatto Quotidiano: “La grande debolezza de ‘La Grande bellezza è tuttavia nella sceneggiatura di Umberto Contarello (…). Perché quel che manca a questo per altro bel film, è proprio la trama, il raccontare una storia, la creazione di intrecci fra personaggi certamente ben disegnati anche se un po’ troppo archetipici quando non proprio stereotipizzati. Colpisce, infine, la totale assenza di gente sotto i 40 anni, anche nei personaggi secondari. Una società romana cocaino-caino-borghese, over-50, di sinistra puzzettara e pseudo artistica, legata a un partito comunista che non esiste più, proprio a partire dall’egemonia culturale sul cinema.” E infine, per onestà, ecco la mia  recensione su Dazebao. Insomma,  come diceva Pirandello: “così è se vi pare”.

 

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