L’Italia allo scatafascio. La casta non vuole il cambiamento, la sofferenza aumenta

ROMA – Non se ne viene fuori. L’Italia è imprigionata nelle solite illusioni, spesso troppo ottimistiche, anche per chi non ha mai disdegnato le ubriacature a parole. La confusione è totale sotto tutti i punti di vista e l’incertezza regna sovrana mentre l’impalcatura del Bel Paese crolla sotto i nostri occhi. Lo spiraglio di luce tanto osannato da Mario Monti e da chi lo ha preceduto e succeduto non si vede, neppure se si sgranano gli occhi verso l’incerto orizzonte.

I dati snocciolati recentemente dall’Istat sull’occupazione dimostrano per l’ennesima volta lo stato delle cose in cui siamo precipitati. Le aziende continuano a chiudere, i disoccupati, i cassaintegrati  crescono a vista d’occhio, senza contare l’esercito di esodati senza futuro e senza speranze. Insomma, siamo in balia degli eventi che non siamo neppure più in grado di controllare.

Aveva ragione Maurizio Landini della FIOM quando affermava che si è poveri anche lavorando. E siamo esausti di ascoltare storie di lavoratori, precari con contratti capestro che a leggerli di primo acchito sembrano barzellette, che rabbiosamente lamentano la difficoltà di vivere, di sbarcare il lunario come si suol dire.

Di storie così l’Italia è piena zeppa nonostante l’indifferenza generale.Anche chi un lavoro ce l’ha vive infatti una situazione spesso sotto ricatto, anche accettando i più beceri compromessi. Cinquecento, settecento, per i più fortunati mille euro, sono i salari più inflazionati tra i giovani ‘fortunati’ che si affacciano nel mondo del lavoro. Manna dal cielo per chi una occupazione non ce l’ha, miserabile carità per chi sa benissimo che con quei pochi soldi non si campa affatto, anzi si fa la fame. La cecità istituzionale è spesso così opprimente, tanto che verrebbe la voglia di fare le valigie, infilarci dentro quattro stracci e approdare nel primo paese disponibile, dove il costo della vita sia in grado di garantire quel minimo di dignità alle persone.

Finge di usare il buon senso perfino il rampante premier Matteo Renzi, che va ricordato ricopre la quarta carica dello Stato anche se nessuno lo ha votato. Tenta la strada caritatevole del bonus di 80 euro e delle misure della casa, ma non si mette mai contro i poteri forti del Paese, banche in primis, che adesso più che mai decidono, quasi fossero l’autorità assoluta, chi  è degno e chi non lo è di ricevere anche un piccolissimo prestito, come succede a chi si trova in mobilità, o a chi lavora in aziende considerate economicamente poco credibili. Vedremo oggi, durante il semestre di presidenza europea italiano cosa succederà, di quello che qualcuno definisce come lo scontro ideologico tra due blocchi, ovvero la grande coalizione dei socialisti-popolari-liberali e gli euroscettici, quest’ultimi stanchi di essere assoggettati dalle direttive di un Europa che dovrebbe essere unita solo di fronte al dio denaro, ma poi lascia l’Italia abbandonata quando i migranti toccano la sua terra.

Chissà se Renzi, oltre a stringere le mani durante le sue passerelle istituzionali, sia in grado di percepire  la moltitudine di situazioni lavorative ed economiche che affollano il panorama italiano. Di come, conti alla mano, vivono la maggior parte degli italiani, quelli che il lavoro l’hanno perso e non riescono a chiudere occhio neppure per qualche ora, a meno che non si imbottiscano di psicofarmaci, perché l’impossibilità di avere anche una flebile certezza sul futuro rende la vita misera e impossibile.

Neppure dagli scranni del Parlamento si levano più le voci discordanti di un tempo, quelle del profondo dissenso che prima non solo animavano il dibattito, ma tentavano di opporsi con vigore alle nefandezze di una casta ancora privilegiata, che continua a garantire l’ipotetico rilancio di un’economia che appartiene a pochi eletti. Insomma, ci chiediamo dove sia il cambiamento e, soprattutto quanto durerà questa deriva, prima di affondare inesorabilmente nelle acque torbide di una politica che guarda solo a se stessa. Almeno per sapere di che morte dovremmo morire.

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