La Roma della cultura deve ripartire. Intervista a Giovanna Marinelli, il nuovo assessore alla cultura

Da Renato Nicolini a Gianni Borgna, lei è stata preceduta da assessori importanti, che hanno segnato la storia della cultura romana proponendo grandi idee per sviluppare la cultura a Roma. Che ricordi ha di quegli anni? E qual è la sua idea della città?

«Certo si tratta di due personalità davvero rilevanti. Il primo, Renato Nicolini, ha letteralmente inventato la figura dell’assessore alla cultura, togliendolo dalla irrilevanza che aveva avuto in passato e facendo comprendere come non si può amministrare una città (tanto più una città come Roma) senza avere una centralità della cultura, della valorizzazione del patrimonio artistico, della creatività messa a disposizione di tutti i cittadini. Gianni Borgna (con cui a lungo ho collaborato) ha consolidato e dato strutture e idee alla cultura di Roma in una fase di profondo rilancio della città, di internazionalizzazione, di trasformazione. Tutti e due hanno messo nel loro lavoro una passione straordinaria, una grande cultura, un estro che hanno contribuito a rovesciare i rischi di declino in un grande rinnovamento. E poi – nei loro modi diversi – due persone davvero speciali. Mi ha quasi commosso ricevere su twitter proprio nel giorno in cui andavo ad inaugurare una sala dedicata a Nicolini all’archivio comunale, una foto che li ritrae insieme: Renato con una camicia a Fiori, Gianni con una giacca di lino bianca…». 

Dopo gli anni di Alemanno, come pensa di poter rilanciare la fruizione e la valorizzazione della cultura? Può raccontarci i punti alla base della sua proposta politica e culturale?
«Parto da una considerazione: Dobbiamo fare i conti con una situazione di crisi davvero difficile. Poche risorse pubbliche, una situazione sociale logorata, persino qualche riflesso negativo nei rapporti tra le persone. A tutto questo il quinquennio della destra ha dato un pesante contributo. Ma voglio partire dall’oggi e guardare a domani. Credo innanzitutto che la cultura debba contribuire a ricostruire quella città-comunità che è stata Roma nei suoi giorni migliori. Per questo bisogna partire dalle periferie, dal luogo reale in cui vivono i cittadini, ma contemporaneamente pensare alla città come un unicum. Ho cominciato solo da qualche settimana e il primo problema è stato affrontare delle emergenze (il Teatro dell’Opera che rischiava la liquidazione, la vicenda del Valle che siamo riusciti a trasformare chiudendo la fase dell’occupazione senza disperdere quanto di culturalmente positivo era emerso in questi tre ultimi anni). Ora è il tempo dei progetti».

Quali sono gli elementi critici e le difficoltà nella gestione di una città come Roma? E quali gli obiettivi da raggiungere?
«Roma è una città straordinariamente complessa per l’intreccio inestricabile tra il rilievo della sua storia e le funzionalità urbane, perché è un organismo vivo e fragile sottoposto a rischi nella tenuta del suo tessuto sociale e insieme pieno di potenzialità non pienamente espresse. Io credo che il nostro modo di lavorare sulla città sia non quello di separarne le parti e le funzioni ma al contrario quello di “ricucire” centro e periferia, vivere e lavorare, abitanti e turisti. In questo la creatività e l’innovazione hanno un ruolo enorme».

Secondo lei quali sono i criteri per tutelare e valorizzare nel migliore dei modi il patrimonio di Roma? E quali sono i progetti in ballo?
«Sono convinta che vadano studiati nuovi modelli di gestione dei beni e dei progetti per la loro valorizzazione che mettano insieme pubblico e privato. È la stessa strada imboccata dai provvedimenti avviati dal ministro della cultura Dario Franceschini. Non si tratta di abbassare la guardia sulla tutela, ma di garantire una gestione controllata, trasparente ma anche efficace di questa enorme risorsa. I progetti su cui muoversi sono mille, dai Fori, su cui si sta intervenendo, al Teatro Marcello, ai mille bellissimi ritrovamenti che si trovano soprattutto nella periferia della città oggi ancora troppo poco conosciuti e visitati».

In un momento di crisi come quello in cui stiamo vivendo, la cultura in che posizione si colloca per rilanciare non soltanto la partecipazione della collettività cittadina, ma anche il lavoro?
«Sono convinta che abbia un ruolo centrale per Roma, ma più in generale per l’Italia. Sui due fronti da lei indicati: quello della partecipazione della “coesione” direi, della percezione di vivere in una comunità in cui il destino di ciascuno è intrecciato a quello di tutti gli altri. E dal punto di vista economico credo che la nostra vocazione sia in un mix di innovazione tecnologica e cultura. Siamo un grande paese manifatturiero (anche Roma lo è) che può mantenere le sue posizioni solo se caratterizza i suoi prodotti per un di più di conoscenza e di qualità. E, dall’altra, siamo il paese della grande bellezza e di una potenziale qualità della vita che nel mondo tanti amano e ammirano: il turismo nella nostra città ha retto persino in anni difficili come questi. Ora con un surplus di idee (penso alla pedonalizzazione dei Fori a quella avviata del Tridente) e di attività culturali possiamo fare un salto in avanti».

Nei suoi progetti è previsto un piano per promuovere iniziative durature nelle periferie? Quali?
«Sono partita dalla rete delle biblioteche, sono una nostra eccellenza sul territorio, sono frequentate anche se hanno vissuto anni di tagli che hanno indebolito gli acquisti dei libri. Le biblioteche sono il luogo della formazione dei giovani fruitori e produttori di cultura: se non si formano qui come pensiamo di avere un pubblico per i musei, le mostre, i teatri? Questa rete, insieme ai teatri di cintura, va rinvigorita e in prospettiva ingrandita valorizzando anche le esperienze di creatività che si sono sviluppate fuori dai luoghi istituzionali». 

 

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