Taranto e l’europeismo a metà. Peacelink scrive al nuovo commissario

TARANTO – Partiamo da un presupposto: nella politica italiana ci sono partiti europeisti, euroscettici e dichiaratamente antieuropeisti. Ma cosa fa di un partito, una forza europeista? Cosa vorrebbe dire? In teoria, prima ancora della battaglia sull’euro, prima ancora delle battaglie sui vincoli, vorrebbe dire rispettare le leggi europee, assumerle come proprie e assumerle come propria linea guida nella formulazione delle leggi nazionali.

A Taranto, però, le cose funzionano un po’ diversamente.

Parliamo, ad esempio, della direttiva 2010/75/UE, del novembre del 2010, dche andava ad integrare quella  2008/1/CE. Cos’è una direttiva UE? Leggiamo testualmente sul sito della Commissione che una direttiva UE è:
“un atto che obbliga gli Stati membri dell’Unione europea a realizzare determinati obiettivi, lasciando loro la scelta dei mezzi per farlo”. In particolare, la direttiva sopracitata prevede che: “Qualsiasi installazione industriale che si occupi delle attività enumerato nell’allegato I della direttiva deve rispettare determinati obblighi fondamentali: adottare tutte le misure di prevenzione dell’inquinamento; applicare le migliori tecniche disponibili (BAT); non causare alcun fenomeno di inquinamento significativo; limitare, riciclare o eliminare i rifiuti nella maniera meno inquinante possibile; massimizzare l’efficienza energetica; prevenire gli incidente e limitarne le conseguenze; ripristinare i siti al momento della cessazione definitiva delle attività”.
L’allegato I recita testualmente che le attività per le quali è valida questa direttiva sono: “Attività energetiche”, e tra questi ci sono “raffinazione di petrolio e di gas” e “produzione di coke”. Entrambe sono attività che a Taranto vengono svolte, rispettivamente dall’ENI e dall’ILVA. “Produzione e trasformazione dei metalli” e qui, essendo quello di Taranto, un impianto siderurgico a ciclo integrale, sembra anche inutile enunciare le varie attività comprese in tale denominazione. L’Unione Europea con tale direttiva obbliga dunque lo stato italiano ad “adottare tutte le misure di prevenzione dell’inquinamento”.
Nella procedura di infrazione del 26 settembre 2013, la Commissione Europea apriva tale procedura contro lo stato italiano proprio per “mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell’acciaio”.


Va evidenziato il fatto che tutte le forze politiche di maggioranza locali, regionali e nazionali, al momento della procedura di infrazione sono forze che si identificavano come fortemente europeiste.
Nel frattempo, però, con l’appoggio di queste stesse forze politiche sono stati approvati sei decreti salva-ilva, l’ultimo dei quali, approvato di recente, prevede una sorta di “prestito-ponte” per l’azienda.
Ancora una volta, la Commissione Europea ha chiesto formalmente chiarimenti alle autorità nazionali sulla situazione economica dello stabilimento e sulla programmazione industriale, probabilmente per sospetti circa la violazione delle norme sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato alle imprese private, tenendo anche conto dei precedenti decreti che avevano previsto lo sblocco delle somme sequestrate dalla Magistratura ai Riva, convertite poi in azion di Ilva spa.
Inoltre, la Commissione ha chiesto di spiegare la connessione tra l’inquinamento registrato a partire dal 2005 e quello attuale che, secondo la magistratura tarantina è ancora fuorilegge dato che gli interventi necessari per abbatterlo non sarebbero stati attuati e ulteriori chiarimenti su chi dovrà pagare le bonifiche.
Qui, giungiamo ad un altro punto fondamentale della direttiva 2010/75/UE che recita testualmente:

“Per prevenire, ridurre e, per quanto possibile, eliminare l’inquinamento dovuto alle attività industriali, nel rispetto del principio “chi inquina paga” e del principio della prevenzione dell’inquinamento, è necessario definire un quadro generale che disciplini le principali attività industriali, intervenendo innanzitutto alla fonte, nonché garantendo una gestione accorta delle risorse naturali e tenendo presente, se del caso, la situazione socioeconomica e le specifiche caratteristiche locali del sito in cui si svolge l’attività industriale”

Già nel 2013, il commissario all’ambiente Janez Potocnink, commentando la procedura di infrazione, aggiungeva:
“Le autorità italiane non hanno garantito che l’operatore dello stabilimento dell’Ilva di Taranto adottasse le misure correttive necessarie e sostenesse i costi di tali misure per rimediare ai danni già causati”.
In questo momento, la Commissione chiede chiarimenti circa l’eventualità che le richieste di risarcimento per danni ambientali possano essere limitate nel caso di acquisizione di ILVA e, proprio per il principio del “chi inquina paga”, chiede spiegazioni circa il fatto che lo Stato italiano debba pagare 119 milioni di euro per le bonifiche di un’area che dovrebbe essere stata inquinata da un’azienda privata.  Il discorso è molto complesso anche perché, nel disegno di legge 1345 sui reati ambientali in questo momento in discussione al Senato, si introduce il “ravvedimento operoso” con beneficio di riduzione di pena (fino ai due terzi) per l’inquinatore che si dichiari d’accordo ad operare una bonifica che, se messo in relazione con l’art. 4 del decreto “Destinazione Italia” che permette a chi inquina di stipulare accordi “per l’attuazione di progetti integrati di messa in sicurezza e bonifica, e di riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nei siti di interesse nazionale” potrebbe diventare un’arma per chi inquina per essere in qualche modo quasi “ripagato” del danno che ha procurato, con un nuovo progetto.


Per fermare tale ddl, PeaceLink, in collaborazione con altre associazioni sparse su tutto il territorio nazionale ha dato vita ad una petizione a questo LINK.

Oggi, PeaceLink ha scritto al nuovo commissario europeo all’ambiente, Karmenu Vella, garantendo ulteriormente la propria disponibilità sui temi che riguardano l’inquinamento a Taranto. Come scritto precedentemente in un altro articolo, ancora una volta, i privati cittadini di Taranto devono fare uso del principio di autodeterminazione per appellarsi in maniera squisitamente legale alla giustizia europea.
Una citazione di Cesare Beccaria recita: “Le leggi sono le condizioni colle quali uomini indipendenti e isolati si unirono in società, stanchi di vivere in continuo stato di guerra”.
Verrebbe anche da dire che prima ancora del sostegno alla moneta unica, prima ancora dei dibattiti sugli sforamenti del pil o sulla difesa comune, chi si considera europeista dovrebbe agire secondo il principio per cui le leggi europee e dunque, il loro rispetto, dovrebbero essere le condizioni con le quali quegli stessi uomini indipendenti e isolati possano (finalmente) unirsi in società.
15/11/2014 Taranto, Antonio Caso

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