23 miliardi per la guerra. L’Italia spende una fortuna per gli armamenti e tutto tace

ROMA – Sono passati dieci anni da quel 7 ottobre in cui iniziava la guerra in Afghanistan, l’evento bellico più lungo nella storia degli Stati Uniti d’America, Vietnam compreso.

Quel giorno i bombardieri Usa e britannici iniziarono i raid sul Paese, coadiuvati dall’azione delle navi da guerra e dei sottomarini con i loro missili Tomahawk. L’ordine di attacco era stato impartito dal presidente George W. Bush all’indomani delle stragi dell’11 settembre: il 20 dello stesso mese la Casa Bianca aveva dato un ultimatum ai talebani articolato in cinque punti, che prevedeva la consegna dei leader di Al Qaida, considerati responsabili dell’attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono, il rilascio di tutti i prigionieri stranieri, la consegna dei terroristi che si nascondevano nel Paese alle autorità competenti, il pieno accesso degli Usa ai campi di addestramento. Il 21 i talebani rifiutano, spiegando che non c’erano prove certe del coinvolgimento di Bin Laden nelle stragi e così il 7 ottobre inizia il conflitto: l’obiettivo è quello di catturare o uccidere Osama Bin Laden, ritenuto la mente dell’attentato, distruggere le basi di Al Qaida e rovesciare il regime talebano che lo proteggeva. È stata una guerra lunga e logorante, Bin Laden è stato ucciso in Pakistan lo scorso maggio, dieci anni dopo, anche se l’organizzazione non è ancora del tutto sconfitta e l’Afghanistan è ancora un Paese diviso da conflitti economici, culturali e religiosi, colpito da attentati e raid contro i civili. Il processo di pacificazione e democratizzazione immaginato per quel Paese diventato culla del fondamentalismo islamico è ancora lontano e secondo Amnesty International, «i passi avanti verso il rispetto dei diritti umani sono stati pregiudicati dalla corruzione, dalla cattiva gestione e dagli attacchi degli insorti, i quali mostrano un disprezzo sistematico per i diritti umani e le leggi di guerra. Il governo di Kabul e gli alleati della coalizione non hanno mantenuto le promesse». In dieci anni di guerra, gli Stati Uniti hanno subito la perdita di 1.801 soldati, secondo gli ultimi dati aggiornati dal sito icasualties, e speso oltre 150 miliardi di dollari. Il Parlamento italiano approvò l’intervento il 9 ottobre: da allora, la missione Nato in Afghanistan (Isaf) è iniziata nel 2003, gli italiani che hanno perso la vita nel conflitto sono stati 45. L’anno più sanguinoso per i militari della coalizione internazionale è stato il 2010: 711 i morti, su un totale di 2.753, la gran parte uccisi dai micidiali ordigni artigianali.

Dalle dichiarazioni emerse lo scorso luglio, per l’Italia non ci sarà nessuna riduzione di militari in Afghanistan, dove il contingente di 4.200 soldati non viene toccato, ma dovrebbe essere ridimensionato dall’inizio del 2012. Tagli consistenti in Libano (700 militari in meno); per i militari impiegati per la missione in Libia (884) e nei Balcani (271).
Ma l’Italia ha anche concluso il suo iter di ratifica della Convenzione sulle Munizioni Cluster (CCM) avvenuto il 21 settembre – Giornata Internazionale per la Pace indetta dalle Nazioni Unite – divenendo il 65 State Parte del Trattato Internazionale. L’Italia possiede scorte di munizioni cluster ed in passato è stata un paese produttore. Non si sa se il nostro Paese abbia esportato munizioni cluster, ma ora è legalmente obbligatorio interrompere ogni uso, produzione e commercio, e distruggere le scorte “nel più breve tempo possibile” e non oltre gli otto anni successivi all’adesione al trattato. La firma della Convenzione la obbliga inoltre a non assistere nessuno Stato, compresi i suoi alleati della NATO, prendendo parte ad azioni proibite dal Trattato. Attualmente 16 dei 28 paesi NATO sono Stati Parte della Convenzione sulle Munizioni Cluster.

Ma l’Italia è e resta all’ottavo posto al mondo per spese militari, nel 2010 l’Italia ha speso oltre i 20 miliardi di euro per la difesa, ritoccando quella complessiva per le strutture e il personale, anche per “far posto” agli oneri del modello dell’esercito professionale, quella specifica per gli armamenti si avvicina sempre di più ad incrementi a due cifre. 
”PeaceReporter” ha fatto qualche conto: a lievitare sono i fondi destinati agli “acquisti” per i nuovi armamenti, un incremento dell’8,4%, (mentre l’incremento complessivo è almeno un terzo di questa percentuale) pari a quasi tre miliardi e mezzo, ovvero 266 milioni in più rispetto al 2010. L’Italia spende mezzo miliardo di euro all’anno per la campagna in Afghanistan, ed ha messo in cantiere una operazione da 16 miliardi per acquistare 131 bombardieri invisibili F-35, aerei “stealth” di ultima generazione, attrezzato per trasportare Nh-90testate nucleari (471,8 milioni di euro l’uno). Altri 309 milioni saranno destinati all’acquisto degli elicotteri Nh-90 della AgustaWestland, mentre la lista della spesa militare 2011 contempla anche due sottomarini U-212, del costo di 164,3 milioni, e di altri elicotteri Ch-47 F Chinhook (per 137 milioni), oltre all’ammodernamento dei caccia multiruolo Tornado (178,3 milioni).

Per il caccia Eurofighter Typhoon, il jet Aermacchi M-346 da addestramento, le modernissime fregate Fremm e i veicoli corazzati da combattimento Freccia verranno reperite risorse dal ministero dello Sviluppo economico, «chiamato a contribuire con poco meno di un miliardo di euro». E’ proprio tenendo conto della “partecipazione” del ministero dello Sviluppo economico che la spesa complessiva lievita di ben tre miliardi. Alla luce dei vincoli finanziari, e secondo i documenti ufficiali, il volume finanziario complessivo a disposizione del Ministero della difesa è pari a 20 miliardi e 494,6 milioni di euro, nel 2011, a 21 miliardi e 16 milioni di euro, nel 2012, e a 21 miliardi e a 368 milioni di euro, nel 2013.

Secondo  quanto riportato nel volume “Il caro armato. Spese, affari e sprechi delle Forze Armate italiane” di Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca, nel 2010 il nostro Paese ha previsto di spendere in spese militari almeno 23 miliardi di euro. La struttura delle nostre Forze Armate, secondo quanto prevede il cosiddetto Nuovo Modello di Difesa, è profondamente cambiata rispetto agli anni passati ma gli arsenali non conoscono crisi così come le vicende controverse legate alle servitù militari e il destino degli immobili della Difesa. A quanto ammontino i “fondi-stampella” dello Sviluppo economico le carte ufficiali però non lo dicono: sono circa 900 milioni per il 2011, rispetto ad almeno 1.200 milioni degli anni precedenti, secondo una stima che circola tra esperti della difesa. Il governo non ha pubblicato un quadro trasparente di tutta la spesa. A questi vanno aggiunti il miliardo e mezzo di tutte le missioni. E quindi ecco spiegati i tre miliardi in più. Dal punto di vista dell’attività produttiva in Italia, il settore è in piena espansione: con un fatturato record da 3,7 miliardi, alla fine del 2008, come si è appreso lo scorso anno, l’Italia ha superato la Russia, divenendo il secondo esportatore mondiale di armamenti, dopo gli Stati Uniti. Tra i “gioielli” dell’industria militare nostrana, il veicolo tattico multiruolo Lince e l’elicottero d’attacco A-129 Mangusta, ma far lievitare il made in Italy sono anche armamenti meno “prestigiosi”, come le bombe a grappolo messe al bando da recenti

Chi non ricorda “Lord of War”? Il film di Andrew Niccol del 2005 è strutturato come la confessione del re dei trafficanti d’armi, Yuri Orlov (nome di fantasia), impersonato da Nicolas Cage. Da un campo disseminato di pallottole il protagonista si rivolge direttamente a noi spettatori, o forse alla propria coscienza, raccontando la sua storia senza nascondere nulla e senza mentire, proprio lui, grande artista della dissimulazione.
Attraverso le vicende di personaggi inventati, il regista affronta temi reali di politica internazionale e di etica personale, raccontando con accuratezza alcuni degli orrori della nostra epoca, dall’incremento esponenziale del traffico d’armi dopo la fine della guerra fredda agli innumerevoli conflitti africani che hanno arricchito le grandi potenze e impoverito l’Africa, fino agli eserciti di bambini soldato.
Quanto mostrato sullo schermo infatti, sebbene necessariamente romanzato, è avvenuto e continua ad avvenire in tutto il mondo. Nel 2005 Amnesty International e la Rete italiana per il disarmo hanno fatto del film di Niccol un testimonial per la campagna Control Arms  iniziata nel 2003. La stragrande maggioranza delle armi vendute e comprate sono armi da guerriglia, e sono queste a mietere nove vittime su dieci. Come dice Jack Valentine, l’agente dell’Interpol, interpretato da Ethan Hawke, che nel film cerca di incastrare Orlov: «I fucili e le granate sono le vere armi di distruzione di massa».
L’interesse del film è etico oltre che politico. Orlov mette lo spettatore a parte dei propri dilemmi morali e del tentativo di giustificare le proprie azioni. In fondo, non è lui a uccidere le persone: la gente vuole armi e lui trova il modo di fargliele avere; si limita a rispondere a un bisogno, ricavandone un guadagno formidabile. L’illusione di neutralità, di non schierarsi né da una parte né dall’altra, però, dura poco. La spirale del male lo trascina in una progressione di violenza, potere, denaro. Se veramente, come dice Orlov, «il male trionfa quando i buoni omettono di agire», allora la sua storia, anche se su larga scala, non è molto diversa dalla nostra.

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