Il Berlusconi caduto. Storia semiseria di un leader mancato (II parte)

 

Per vincere le elezioni della primavera del 2001 Berlusconi deve stringere una nuova alleanza con la Lega di Umberto Bossi. Ma non è facile. Bossi e il suo partito, infatti, da quando hanno deciso di ritirare la loro delegazione dal governo nel dicembre del 1994 hanno iniziato una furiosa battaglia di denuncia delle connivenze fra Berlusconi, Marcello Dell’Utri e la mafia. In una serie di articoli violentissimi, il giornale di partito, “La Padania”, ha sparato ad alzo zero contro il magnate di Arcore, collezionando una serie numerosa di querele. Praticamente, per Bossi, la fortuna di Berlusconi è dovuta ad oscuri accordi con Cosa nostra grazie ai servizi di Dell’Utri. Come sarà mai possibile fare un accordo politico con un uomo del genere da parte del paladino dei popoli del Nord, da sempre rovinati dalla cultura mafiosa meridionale?

Berlusconi e i suoi miliardi possono tutto

La domanda è ingenua, perché sia Bossi, sia Berlusconi sono poco inclini alla coerenza e alla rettitudine. Ed infatti, il terribile accusatore del “Berlusconi mafioso” dichiara al quotidiano “La Repubblica” il 27 gennaio 2000: “L’accordo potrebbe essere raggiunto in tempi brevi. Si può dire che è stato raggiunto, in parte è già scritto”. Al diavolo la mafia e Cosa nostra! Forse gli inchiestisti della “Padania” sono stati un po’ troppo precipitosi. Certo è che, con un tratto di penna, Berlusconi cancella le querele e Bossi gli attacchi.

Chissà perché ma fin da subito circola la voce che, in realtà, per siglare il patto di ferro, il magnate di Arcore abbia sborsato una bella cifretta che coprirebbe i debiti contratti dal partito padano., in un momento in cui il finanziamento pubblico ai partiti è stato oggetto di un referendum dove hanno vinto i contrari e la Lega si è impegnata accanto ai radicali. Per questo motivo, le banche hanno chiuso i rubinetti e il partito si trova in una crisi nera. Bossi nega: “Ma figuratevi! Quello non tira fuori una lira nemmeno se gli punti una pistola alla tempia!”. Alcuni anni dopo, Gilberto Oneto, convinto indipendentista e amico di Gianfranco Miglio conferma la “leggenda metropolitana” già raccontata da Rosanna Sapori, una ex cronista di Radio Padania, secondo la quale con 70 miliardi di lire, Berlusconi avrebbe acquistato una parte della titolarità del marchio della Lega, in cambio della rinunci alle querele. Anche l’ex direttore della “Padania”, Gigi Moncalvo, alla trasmissione di Lucia Annunziata “In ½ ora” conferma l’esistenza di un contratto stipulato in uno studio notarile. La versione viene confermata anche da un altro giornalista “padano”, molto vicino al movimento ma poi uscitone, Leonardo Facco. “Il Fatto quotidiano” ripropone, poche settimane fa la questione, con uno scoop: pubblica in prima pagina il testo del contratto.

La vittoria del 2001

I leghisti smentiranno sempre la storia ma, in ogni caso, l’alleanza con Berlusconi si dimostrerà molto forte. La vittoria alle elezioni del 2001 è una sorta di tsunami che investe in pieno la società italiana. Il Paese ha dato il potere ancora una volta ad una persona che non potrebbe rappresentarlo, in quanto proprietario del più forte impero televisivo ed editoriale (sua è la costellazione della Mondadori, la più grande casa editrice italiana, contesa a Carlo De Benedetti e poi acquisita in modo illegittimo secondo i giudici) e quindi in continuo conflitto di interessi. Ma nessuno in Italia, tanto meno la sinistra, è stata in grado di contrastare Berlusconi su questo terreno. Cinque anni di governo del centro-sinistra non sono stati sufficienti a provvedere ad una legge che impedisse al magnate di Arcore soltanto di pensare di poter diventare presidente del consiglio, come sarebbe avvenuto in qualsiasi Paese democratico e civile e nella stessa America per cui stravedono personaggi come Giuliano Ferrara ed altri “intellettuali” della casta berlusconiana.

Poco importa. Berlusconi forma il suo secondo governo e si presenta al popolo della destra come lo “statista” che modificherà la società italiana. Ovviamente è una balla spaziale che soltanto i suoi ben stipendiati giornalisti hanno il coraggio di diffondere (ma non solo: anche quotidiani prestigiosi come il “Corriere della sera” sembrano crederci). La realtà è ben diversa. Berlusconi mostra subito i suoi notevoli limiti. Non è un leader politico, è abituato a comandare e non a governare. Una cosa sono le sue aziende e un’altra un Paese complesso e industrializzato come l’Italia. La sua azione di governo è confusa e poco incisiva. Impossibile, anzi risibile, che un uomo come Berlusconi possa avviare la “rivoluzione liberale”, lui che è un quasi-monopolista e impone al Paese un sistema televisivo che , con la legge Mammì del 1990, voluta da Craxi proprio per aiutarlo, ha davvero poco di liberale.

Il declino e la vittoria di Prodi nel 2006

Dopo cinque anni di governo durante i quali l’Italia non è riuscita ad agganciare la ripresa economica internazionale successiva all’attacco delle torri gemelle, soprattutto per l’incapacità del suo ministro dell’economia Giulio Tremonti di predisporre qualcosa di più efficace di condoni e scudi fiscali e dove il premier ha pensato innanzitutto a farsi approvare leggi a lui favorevoli, gli elettori premiano la nuova coalizione dell’Ulivo guidata da Romano Prodi. In realtà, la vittoria del centro-sinistra nel 2006 è molto risicata, grazie ad una massiccia occupazione delle televisioni da parte di Berlusconi nell’ultimo mese di campagna elettorale, a seguito della quale riesce a portare alle urne una fetta di elettorato che probabilmente non vi si sarebbe recata e ad accorciare un distacco che, secondo alcuni sondaggisti, era quasi del 10% rispetto al centro-sinistra. Ma purtroppo, oramai è impossibile limitare la potenza mediatica del magnate di Arcore. Non lo farà il governo di Prodi, che ha una maggioranza di tre senatori e deve soffrire dei continui attacchi concentrici del Cavaliere, sempre pronto ad attrarre verso di sé i deputati “border line”. È così che, agli inizi del 2008, Prodi deve gettare la spugna, dopo l’abbandono della coalizione da parte del ministro della giustizia Clemente Mastella, che passerà armi e bagagli con il centro-destra, facendosi poi eleggere al Parlamento europeo.

I disastri dell’ultimo Berlusconi

Ancora una volta, le televisioni di Berlusconi convinceranno gli italiani a votarlo nello scontro della primavera del 2008 contro Walter Veltroni che, per cercare di recuperare i voti al centro, infarcisce la lista del Partito democratico di improbabili personaggi, come Massimo Calearo, che infatti emigreranno nelle file della maggioranza. Se c’è un elemento che il magnate di Arcore sa sfruttare è proprio la debolezza del principale partito di opposizione, da un decennio incapace di contrastarlo seriamente, sia sul piano delle idee, sia su quello della mobilitazione popolare.

In ogni caso, il governo che si forma a maggio del 2008 sarà ricordato come uno dei peggiori della storia repubblicana. Non solo esso smantellerà le poche riforme in senso liberale avviate dal centro-sinistra (abolizione dei minimi tariffari nelle professioni, ora reintrodotte dopo il commissariamento da parte dell’Unione europea, rottura del monopolio delle farmacie per i prodotti sanitari, libera portabilità dei mutui bancari e delle polizze di assicurazione), ma abrogherà anche l’impianto di una lotta all’evasione fiscale che il ministro Vincenzo Visco ha avviato e che potrebbe portare il Paese a recuperare ingenti somme. Ma Berlusconi e Tremonti proprio grazie ad un patto non scritto con gli evasori fiscali hanno nuovamente trionfato e devono pagare la cambiale in scadenza. Come se non bastasse Berlusconi annuncia l’abolizione dell’Ici sulla prima casa, nonostante che lo stesso Prodi avesse elevato le esenzioni al punto tale che l’imposta patrimoniale oramai la dovevano pagare soltanto i proprietari di case principesche. Sarà il primo di una serie di atti scellerati, che appesantiranno lo stato comatoso dei conti pubblici, in nome di un populismo deteriore e di un’assenza di progettualità che porteranno il Paese al disastro attuale e al commissariamento di fatto da parte dell’Unione europea.

Diciassette anni di berlusconismo hanno portato l’economia italiana indietro di dodici anni, bloccandola su un immobilismo sociale più accentuato rispetto agli anni Novanta. Le rendite di posizione non sono state minimamente scalfite, non è stato nemmeno avviato un programma serio di recupero dell’enorme evasione fiscale, non sono state ammodernate le strutture amministrative, mentre settori essenziali, come il mercato del lavoro, sono stati disegnati per creare precarietà e disoccupazione. La fine del berlusconismo, ora, potrebbe invertire la rotta, a condizione che nessuno pensi mai più che il magnate di Arcore sia una risorsa per qualcun altro oltre che per lui stesso (II-fine).

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