Per Liberare Roma Bene Comune

ROMA – Da un po’ di settimane comincia a muoversi qualcosa in città. Chi era rimasto in letargo per quasi tre anni inizia ora ad accorgersi che forse è arrivato il tempo di uscire dalla propria tana, perché Roma non può attendere che arrivi un nuovo o vecchio Messia per poter uscire dalle sabbie mobili che la stanno inghiottendo. Meglio tardi che mai direte voi; ci ritroviamo in sintonia sul fatto che la città sia stata mortificata in questi anni di governo Alemanno e che sia stata fatta oggetto di un nuovo sacco dei soci del sindaco, così come già in precedenza fecero gli uomini forti di Veltroni con un PIL che si alimentava a suon di metri cubi di cemento che piovevano sul nostro principale bene comune: la città. Città cementificata da Caltagirone e dagli altri costruttori già ai tempi del noto “pianificare facendo” di Rutelli, ma che poi hanno potuto tranquillamente proseguire i loro affari con Veltroni dal 2001 al 2008; decidendo anche cosa e come far votare in aula Giulio Cesare il loro Nuovo Piano Regolatore. Chiaro che nell’era di Alemanno la situazione per gli squali del cemento non è affatto cambiata: cambiano i direttori d’orchestra ma la musica è la stessa.  E’ quindi bene che ci si interroghi in tempo sul come poter muovere le prime mosse per costruire un’alternativa credibile a colui che, in soli tre anni, è riuscito a fare peggio degli allora noti primi ministri democristiani degli anni 60-70, tipo Rumor o Colombo o Fanfani: tre giunte rifatte in tre anni; tre assessori al Bilancio in tre anni; tre capi dei vertici di Atac in tre anni.

Certo è che non basta riempire Roma di migliaia manifesti arcobaleno che titolano “CAMBIA IL VENTO”, perché poi questo possa accadere veramente. Anzi, l’appropriarsi a sole due settimane dal voto di una battaglia referendaria, che di fatto i movimenti per l’acqua e contro il nucleare hanno tenacemente portato avanti per quasi due anni nella nostra città e nel paese, insieme ai movimenti e alla sinistra comunista e anticapitalista presente in Italia, non è di certo un modo nuovo di fare politica. Non è un bellissimo esempio per andare “oltre” le vecchie logiche che hanno prodotto più di un disastro e non solo a Roma. In effetti, neanche passate 2 settimane dallo straordinario successo referendario e ti trovi già una manovra “terminator” votata dal Parlamento in maniera bipartisan e con la benedizione del Capo dello Stato che in pratica applica alla rovescia il formidabile esito del voto referendario: ripartire a bomba con la privatizzazione di tutti i pezzi pubblici ancora da privatizzare! Basta fare l’esempio del Comune di Firenze e si comprende bene come è cambiato il vento: privatizzare l’Ataf è cioè il trasporto pubblico locale. E chi è il simpatico Sindaco di Firenze? Matteo Renzi del Partito Democratico. Allora, non è che qui si voglia essere sempre prevenuti nei confronti delle grandi alleanze, sempre poi che ti ci vogliano dentro (ad esempio quel che è successo a Milano dove la FdS è stata fatta fuori dal mansueto Pisapia). Non è proprio che siamo divenuti tutti, noi comunisti testoni del terzo millennio, dei seguaci di San Tommaso, ma di certo non basta enunciare il tradizionale ritornello del cacciare le destre, cacciare il fascista Alemanno, cacciare i poteri forti (che poi hanno fatto la pacchia anche durante i governi di centrosinistra), per trovare così un tavolo e una quadra comune.

Per Liberare Roma, Roma Bene Comune, serve essere riconoscibili e quindi chiari con la gente. La stessa gente che incontriamo per strada o suoi posti di lavoro o nelle nostre feste. Bisogna essere chiari con la gente e chiari al tempo stesso quando si va nei famosi “cantieri”, “laboratori”, “officine”, “seminari”, “tavoli”, “spazi”, “fabbriche”… (o chiamiamoli come diavolo volete) su quel che si vuole fare da grandi per liberare la città. Non basta la solita litania del parlare per parlare e non stringere sulle questioni che interessano alla maggioranza della gente. Non serve chiudersi nel proprio recinto dorato dove cercare comunità, protezione e un linguaggio comune tra pochi, per arrivare a cambiare lo stato delle cose presenti. Serve essere chiari e quindi subito riconoscibili anche e soprattutto nelle nostre proposte, nei nostri punti programmatici da mettere così a confronto con chi vuole davvero lottare per cambiare e non per poter continuare a galleggiare. Bisogna mettere a valore la propria “primiera” delle idee e proposte.

La nostra piattaforma per Liberare Roma. Ed è su questo che si decide chi sta con chi e soprattutto su che cosa si sta dalla stessa parte della barricata. Sapendo bene che non si parte da zero, perché da oltre un anno la città è stata attraversata da numerosi movimenti e mobilitazioni niente affatto riconducibili a chi è oggi rappresentato politicamente in aula Giulio Cesare e in Parlamento. Non è la stessa roba di stare a schiacciare i pulsantini in aula e la formidabile mobilitazione di Roma Bene Comune contro il bilancio di Alemanno 2010 e poi 2011, contro la privatizzazione delle caserme e la svendita dei depositi ATAC, per il diritto all’abitare, così come quella dello scorso autunno contro la Polverini, sono un investimento di democrazia diretta che può diventare un VALORE per tutti e per tutte nella lotta per Liberare Roma. Primarie delle idee allora. Dove tu porti avanti le tue proposte e nel confronto si decide se, ad esempio, è importante o meno rimettere a posto e ampliare i nidi comunali o se bisogna proseguire nell’appaltarli ai privati tramite convenzioni. Se è arrivato il momento di riportare i servizi pubblici locali interamente in house, alla luce del fantastico risultato referendario, ripristinando così il ruolo di indirizzo e controllo effettivo dell’Assemblea Capitolina, o se bisogna seguire la provocazione del sindaco di Firenze e vendere ai privati.

Se dobbiamo continuare a consumare le risorse del nostro pianeta o se possiamo mettere a valore l’enorme numero di edifici pubblici, a partire dalle scuole, e dotarli di pannelli solari per avere energia. Se dobbiamo continuare a fare dichiarazioni sui piani casa senza le case o se si sterza decisamente e si mettono ogni anno in bilancio decine di milioni di euro  per tutta la durata della futura Consiliatura per avere un proprio fondo per interventi di Edilizia Residenziale Pubblica e Popolare. Se gli interventi alla persona (anziani, disabili, migranti, ecc.), così come gli interventi sulle aree verdi o nei canili, debbono essere svolti ancora a stragrande maggioranza da personale precario in rapporto con cooperative o se si può ripensare la pianta organica dell’ex Comune di Roma, così da poter arrivare ad assorbire molte di queste figure. Se serve tenere ancora in piedi una miriade di scatole cinesi, leggasi società dell’Ex Gruppo Comune di Roma ora Roma Capitale e costruirci sopra la Holding Campidoglio, per svolgere funzioni e servizi ai cittadini o se non sarebbe meglio prevedere di ridurle drasticamente e ripassare buona parte dei lavori ai Dipartimenti competenti. Se Roma deve continuare a riempire le tasche del signor Manlio Cerroni o se si può finalmente arrivare a fare quello che i migliori comuni di altre città d’Italia ci insegnano a tutti e non da qualche mese. Insomma, per potersi unire serve prima di tutto sapere bene su cosa ci si unisce. Altrimenti si continuerà a nuotare sullo stesso vecchio fondo, diceva il buon Roger Waters, della stessa identica vecchia vaschetta per pesci.

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