Malattia di Pompe, in Campania potrebbero essere una novantina i casi senza diagnosi

La Seconda Università di Napoli lavora ad una rete capace di colmare il gap e dare assistenza

ROMA – La Regione Campania conta circa 6 milioni di abitanti, di questi ‘solo’ una decina ha ricevuto una diagnosi – e il relativo trattamento – per la rara malattia di Pompe o glicogenosi di tipo due. Verrebbe da dire ‘per fortuna’, ma secondo gli esperti, che lunedì su riuniranno alla Seconda Università di Napoli per fare il punto sulla malattie e sull’assistenza offerta nella regione, non si tratta affatto di una minore incidenza di casi quanto, piuttosto, della mancanza di diagnosi.  In sostanza, se si considera che l’incidenza stimata della malattia è di 1 caso su 140.000 abitanti per la forma infantile, quella più grave, e di circa 1 caso su 60.000 per la forma dell’adulto, i casi presenti nella regione dovrebbero essere come minimo una centinaia. Dove sono dunque gli altri 90 casi? Probabilmente – secondo gli esperti – non vengono diagnosticati, e ciò vuol anche dire che, se pur malati, rimangono privi del trattamento enzimatico sostitutivo con il farmaco orfano alglucosidasi alfa di Genzyme, l’unico attualmente approvato e in commercio per la malattia fin dal 2006. Questa, soprattutto se iniziata precocemente, è in grado di ridurre significativamente la mortalità e l’invalidità sia nel bambino che nell’adulto.

La malattia di Pompe è causata da un difetto del gene dell’alfa-glucosidasi acida, questo causa l’impossibilitò dei muscoli a metabolizzare adeguatamente il glicogeno, con un conseguente danno grave e progressivo. In genere l’esordio avviene nei primi tre mesi di vita, se non viene diagnosticata e immediatamente trattata con la terapia oggi disponibile – l’enzima sostitutivo l’unico farmaco orfano attualmente  approvato e in commercio per la malattia – la morte sopravviene per problemi cardiaci e respiratori al massimo entro uno o due anni di vita. Diversa è la situazione  nel caso in cui la malattia abbia un esordio più avanti, nella tarda infanzia o addirittura nell’adulto. L’aspettativa di vita è migliore soprattutto perché il cuore non è abitualmente compromesso ma la muscolatura scheletrica viene comunque danneggiata in maniera grave e questo porta a una graduale perdita della capacità di deambulare, di mantenere la posizione eretta, di svolgere attività motorie a cui si associa  una grave e progressiva degenerazione dei muscoli della respirazione; questa è generalmente la causa della morte.
Se la forma ad insorgenza infantile è più facile da diagnosticare non si può dire lo stesso per quella ad esordio tardivo, per arrivare a dare un nome al male, in questo secondo caso, sono necessarie metodiche più complesse e raramente disponibili nei presidi sanitari territoriali, anche in quelli più attrezzati. Ed è proprio per cercare di cambiare questa situazione che alla Seconda Università di Napoli un gruppo di specialisti che si occupa di malattie Neuromuscolari ha deciso di intraprendere una serie di iniziative.

 

“Per cercare di colmare questo ampio gap fra malati diagnosticati e stimati, abbiamo deciso di lavorare con diversi specialisti, soprattutto neurologi, cardiologi, pneumologi territoriali, per far conoscere loro una malattia che, seppur rara, ha un’incidenza consistente e che necessita di un importante perfezionamento nella diagnosi – afferma il professor Simone Sampaolo del Dipartimento Universitario di Scienze Neurologiche della Seconda Università di Napoli –  Ma vogliamo anche sensibilizzare la classe medica locale sul fatto che proprio a Napoli, presso la Seconda Università, è attivo da anni un gruppo di specialisti che si occupa di malattie neuromuscolari: un importante centro di riferimento per tutta la Campania che vanta un importante know-how proprio su questa ed altre patologie rare neuromuscolari”. 
“Vogliamo sviluppare una rete per la cura della Malattia di Pompe – prosegue il professor Giuseppe Di Iorio – con lo scopo non solo di identificare i tanti pazienti che mancano all’appello, ma anche di creare una rete territoriale che possa essere di supporto al paziente in tutte le fasi della malattia in cui sarà necessario l’intervento di un team polispecialistico che deve comprendere neurologo, cardiologo, pneumologo, fisiatra, nutrizionista, ecc.. Altrettanto importante sarà poi la collaborazione di questo team con le famiglie e con le associazioni dei malati, mediata anche da  figure professionali quali psicologi ed assistenti sociali, per assicurare una migliore qualità della vita a questi pazienti”. 

Questa rete, che presuppone un importante lavoro di squadra per accrescere nei medici la capacità di sospettare la malattia di Pompe in modo da potere indirizzare tempestivamente il paziente ad un ‘centro di riferimento’ dove effettuare tutte le indagini utili a perfezionare la diagnosi, può rappresentare un modello utile alla identificazione e alla presa in carico di pazienti affetti da altre malattie rare che, analogamente, rimangono ancora in troppi casi misconosciuti. 

Proprio a questa opera di sensibilizzazione mira il convegno che si terrà lunedì 13 giugno presso l’Hotel Ramada Naples dal titolo “Una rete per la Malattia di Pompe” organizzato proprio dal Dipartimento di Scienze Neurologiche della Seconda Università degli Studi di Napoli, con il coordinamento scientifico del Professor Giuseppe Di Iorio e del Professor Simone Sampaolo e reso possibile grazie a un contributo educazionale non condizionato di Genzyme, azienda biotecnologica impegnata nella ricerca, nel trattamento e nella diffusione di una più approfondita conoscenza delle malattie rare da accumulo lisosomiale.

Condividi sui social

Articoli correlati