Storie vere di gatti veri. Pallina e il moldavo Ras(Putin)  

  Questa è la storia di una gatta romana, discendente di una stirpe che da secoli popola i resti archeologici dell’Urbe. Tali gatti fanno parte del paesaggio e si offrono all’ammirazione e all’obiettivo dei turisti allungati al primo sole su una colonna spezzata, o sotto il fregio di un capitello corinzio che li ripara dalla pioggia. 

Sul Colosseo, il Foro Romano, l’Appia Antica pende un’antica profezia che dice “Roma non cadrà finché resterà in piedi il Colosseo abitato dai suoi gatti”. Esattamente come il mito vuole che “Gibilterra non cada finché le scimmie vivranno brade sui suoi tetti”.

        Di tutto questo, la gatta della nostra storia non sapeva nulla, perché a Roma era cresciuta in un quartiere moderno. Il suo mondo finiva in quell’appartamento dove fu accolta quando era un batuffolo di pelo, da cui il nome Pallina. Ma il destino aveva in serbo per lei una vita straordinaria. E qui comincia l’avventura del primo gatto romano andato in Moldavia a sfidare Ras(Putin). 

(Per inciso: Il siberiano Gregory Rasputin (1869-1916), monaco guaritore e libertino, fu consigliere privato dei Romanov e dello zar Nicola II. Nel 1914 Rasputin si dichiarò apertamente contrario al primo conflitto mondiale: “Se la Russia va in guerra sarà la fine della monarchia, dei Romanov e dell’istituzione russa” e aveva scritto allo zar. Non fu ascoltato. Più tardi, dopo esser scampato a due attentati, vittima di una congiura di palazzo fu prima avvelenato, poi ucciso a revolverate e il suo corpo gettato nel fiume Malaya Nevka).

I telegiornali ripetevano in continuazione che sarebbe stata un’estate più torrida del solito, e quell’annuncio per Romano, l’anziano padrone di Pallina, fu un dramma personale: “Con questo caldo ci rimetto la pelle”.  Non dormiva al solo pensiero di quello che lo aspettava nei mesi cruciali di luglio e agosto.  Vedovo, senza figli, in pensione dopo una vita da bancario, viveva nel grande appartamento di un bel quartiere della Capitale, con l’aiuto di una signora moldava che aveva preso la guida della casa quando c’era ancora sua moglie.   Rimasto solo, aveva adottato Pallina, alla quale non tardò ad affezionarsi. 

             D’estate soffrivano il caldo entrambi: lui sbuffava, la gatta cercava l’angolo più fresco del pavimento dove si sdraiava sempre più magra e lunga. Con l’autunno sarebbero finiti i problemi, ma già a primavera Romano ricominciava: “L’anno prossimo non mi lascio fregare – brontolava – un’altra estate così non la passo certo qui dentro”. Tanto più che la donna di casa gli aveva detto che a Natale sarebbe tornata in Moldavia per restarci e lo aveva invitato a seguirla. Era nato così il proposito di partire anche lui per quella terra del nord, magari solo per evitare l’estate. 

        E la gatta? Pensò di darla a qualcuno che se ne sarebbe occupato, ma subito lo trovò un proposito crudele; si ripromise di portarla con lui in Moldavia e lasciarla là, ma anche l’idea di abbandonarla gli parve insensata. Intanto Pallina si era accomodata sulle sue ginocchia e lo guardava fisso, come capisse che si stava decidendo del suo futuro.  Fatto sta che un giorno di fine giugno, alle prime avvisaglie della canicola, la strana coppia decise di prendere il volo e approdò nel cuore di quel piccolo, pacifico paese, che si era ritrovato ai confini di un’assurda guerra, nella quale erano coinvolte più d’una potenza e di cui non si intravvedeva la conclusione.

Il viaggio avvenne, si può dire, controcorrente. All’aeroporto d’arrivo c’erano molte gabbiette con dentro piccoli cani o grandi gatti, loro in partenza, con padroni che lasciavano quelle terre tormentate. Come si vedeva al telegiornale: donne e bambini in fuga per salvarsi la vita.  Qualcuno forse andava proprio a Roma, dove Pallina sarebbe tornata a fine estate, questo almeno il programma.

Un comitato di accoglienza di amici e parenti della famiglia ospitante, diede a Romano il benvenuto. La sua gatta non tardò ad acclimatarsi: per lei tutto era scoperta, esplorava un mondo ben diverso dall’appartamento in cui era cresciuta e di cui conosceva gli angoli più riposti.  Un giorno le capitò di trovarsi a tu per tu con un topolino   che fuggì precipitosamente prima che facesse in tempo a catturarlo. “Sarà per la prossima volta…” pensava Pallina, che considerava quel fugace incontro il primo match di una partita da giocare. E se il moldavo aveva il vantaggio di competere nel suo territorio, la romana sarebbe ricorsa al suo istinto felino.

La casa di campagna si rivelò subito un posto fresco e accogliente. Pallina era indaffaratissima alla scoperta di nuovi angoli e a far compagnia al “padrone” che ogni giorno spiava le sue mosse per assicurarsi che stesse bene. Lì della guerra non c’era sentore. Pallina non poteva stare meglio, aveva fatto amicizia con tre gatti del luogo: uno rosso, tutto scapigliato, una femminuccia di tre colori, uno tutto nero, senza un pelo fuori posto e sguardo d’acciaio. 

     “Come ti chiami? – le aveva chiesto il nero.  “Mi chiamo Pallina”. “Che nome strano,” aveva osservato lui contrariato. Era un gatto autoritario, si sentiva il capo, dava ordini e si faceva obbedire. A Pallina fu subito antipatico, ma non lo dette a vedere: sapeva di essere un’ospite e non si azzardava a criticare.  Con lui e altri gatti passava ore ad annusare ogni pianta di piselli, fagiolini, cipolle, patate. La conversazione languiva, ma il gatto nero, che aveva detto di chiamarsi Ras, non mancava occasione d’ indagare i motivi che avevano portato Pallina dall’Occidente in Moldavia. A che fare, poi? 

   Il gatto moldavo sospettava qualcosa ma non sapeva cosa. “Che sia una spia del Vaticano?” si chiedeva, senza fare esplicite domande. D’altronde, quell’anima candida di Pallina tutto sembrava meno che un agente segreto ma, come diceva James Bond, “mai dire mai”. Il nero che aveva detto di chiamarsi Ras aveva taciuto un particolare: era il diminutivo di Rasputin, nome che gli avevano dato a causa del suo caratterino sospettoso e indagatore. Cosa di cui Pallina era ignara e lo trattava come un gatto qualunque. 

      Ma una mattina Pallina si svegliò sconvolta da un sogno. Il racconto che fece alla gatta tricolore fu terrificante: “Sono arrivati in tre mi hanno legata e hanno cominciato ad interrogarmi. “Perché sei venuta da Roma? Sei una spia della Nato”, le chiedeva con rabbia Ras. “Parla, sennò farai una brutta fine!”. Al risveglio si era resa conto di aver sognato, ma la paura era stata tanta. “Dove sono finita?  – si chiedeva – che mondo è questo? Voglio tornare a Roma, in quell’appartamento dove a parlare di guerra era solo il telegiornale”. Il ricordo del brutto sogno sparì e Pallina riprese la sua esistenza fra i nuovi amici. 

      Ma Ras le stava dietro sospettoso. “Non si sarà messo in testa qualche strada idea?” si disse Pallina che non pensava a mettere su famiglia lontano da casa. La presenza dell’altro la faceva stare all’erta.  Un giorno papà Romano le annunciò che per un po’ non si sarebbero visti perché avrebbe fatto una gita sui Carpazi – “Sono come le nostre Dolomiti” e le aveva spiegato che non poteva portarla con se perché sarebbe andato in un albergo. Pallina fu contenta di essere libera da altri impegni, decisa a indagare sul gatto nero il cui comportamento non le piaceva:” Pensa di essere lo zar dei gatti?”. 

   Senza darlo a vedere, lei invertì i ruoli: prese a spiare i movimenti di Ras scoprendo che aveva un temperamento aggressivo.  Non una lucertola sfuggiva alla sua caccia, perfino le farfalle finivano fra le sue grinfie, aveva una passione per le risse, a volte era coperto di graffi, segno che qualche volta era lui a prenderle. Pallina si rese conto che con quel gatto le cose potevano anche finire male. Decise di frequentarlo il meno possibile, evitando la sua strada, non rispondendo ai suoi richiami, facendo finta di niente davanti alle sue avances.

      Per fortuna la lontananza di papà Romano non durò a lungo. Rientrò e raccontò che era andato fino in Transilvania a visitare il castello di Dracula, un nobile assetato di sangue che faceva strage di donne giovani e belle. Pallina si sentì rabbrividire e commentò: “Che posti strani, ecco perché poi ci trovi personaggi come Ras (Putin)”. Tenne per sé la riflessione, ma una sera ebbe una folgorazione. All’ora di cena, guardando nella scatola luminosa sulla quale si concentrava la famiglia, rimane di stucco vedendo il potente politico che aveva scatenato una guerra parlare seduto con in braccio un gatto nero. 

        Il gatto nero sulle ginocchia del leader non era Ras, ma Ras gli somigliava tanto che con gli estranei si spacciava per “il gatto del Presidente”, per fare paura e godere d’immeritata considerazione. Ras temeva ora che Pallina potesse smascheralo. Incontrandolo nell’orto, Pallina fece finta di nulla e si guardò dal dirgli “Ti ho visto ieri in televisione”, ma capì che il nero, visibilmente deluso, ne avrebbe fatto volentieri argomento di conversazione. Lisciandosi con grazia il pelo, Pallina pensò: “Che strano mondo questo! Il conte Dracula finisce per essere il più normale di tutti”.

Il giorno della partenza dalla Moldavia, ai primi cenni dell’autunno, fu all’insegna della commozione. Pallina ebbe un saluto per tutti, anche per Ras che la seguiva con gli occhi dall’alto del pensile di cucina; “Ciao, Rasputin, o come diavolo ti chiami”. Qui corre l’obbligo di una precisazione: nonno Romano, lui sì, è andato in Moldavia a passare l’estate al fresco e ne è tornato molto soddisfatto, stanco ma felice. Lei, Pallina, il viaggio in Moldavia se l’è sognato. E sì, perché quando il giorno della partenza lui le aveva detto:

 – “Vado in Moldavia”. Lei aveva chiesto: – “Vengo anch’io?” la risposta era stata come la canzone: – “No, tu no”.

     E allora la storia della Moldavia con Ras(Putin), Pallina se l’era sognata? 

Vi dirò com’è andata.  Al momento di tornare in Italia, all’aeroporto di Chisinau, su una bancarella di libri usati faceva bella mostra di sé un testo per bambini dalla copertina su cui campeggiava una gatta che sembra il ritratto di Pallina. Il titolo “Storia della gatta che andò in Moldavia per sfidare il gatto nero Ras(Putin)”, era stampato in cirillico con a fianco la traduzione in italiano perché edito da una nostra piccola casa editrice che aveva raccolto favole di tutti i paesi. Nonno Romano lo comprò subito per pochi lei, moneta locale di cui gli erano rimasti in tasca alcuni spiccioli e adesso, quasi ogni sera d’inverno, ne legge qualche pagina a Pallina prima di addormentarsi, entrambi davanti alla televisione accesa, nella quiete della casa romana dove da allora il tempo sembra essersi fermato.

Da “12 storie vere di gatti veri” di Sandro Marucci, edizioni La Quercia 2024

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