Bioarchitettura. Le radici del biopensiero: dalla moda come superfluo alla moda come necessità

ROMA – Nel dopoguerra l’esigenza di costruire in tempi rapidi ed a basso costo ha portato ad alcuni scabrosi esempi di edilizia che non rispettano dictat di alcun tipo. La perdita del costruire a “Regola d’Arte” è un fenomeno che, in scala diversa, interessa diverse generazioni di opere e spesso si ritrova anche al giorno d’oggi, dove sembra impossibile coniugare economicità, qualità ed evoluzione tecnica.

La società contemporanea infatti vive un ciclo di periodi imposti dal mutevole mondo della moda e sulle sue leggi basa i suoi interessi primari. La gente si affascina ad oggetti non strettamente necessari, troppo spesso inutili, in quanto simboli di un apparire che toglie molto all’importanza e alla sostanza delle azioni umane.

Questo non è sempre negativo, basti pensare alle star del cinema e alle campagne fatte per pubblicizzare le loro missioni umanitarie che riservano, al di là di aspetti ridicoli quali l’attenta definizione del look da presentare dell’attore-calciatore- showgirl di turno mentre abbraccia un bambino del terzo mondo col ventre gonfio dalla fame, risvolti positivi di reali aiuti a chi ne ha bisogno. Anche questa è una moda, come la dieta macrobiotica o un particolare capo di una particolare marca e, in quanto tale, finirà e si passerà ad altro.
In una società governata dal consumismo più sfrenato come quella occidentale si è sentito il bisogno, talvolta modaiolo, di introdurre il prefisso “BIO” come un qualcosa di tremendamente “chic” e per questo costoso e riservato ad un certo tipo di pubblico. Nel giro di breve ad ogni genere del quotidiano e non è stato imposto un iter di procedure da seguire per ottenere l’ambita etichetta. Col risultato che si comprano, ad esempio, bio- verdure di cui fino a qualche anno fa si ignorava l’esistenza mentre ora le trovi in ogni supermercato neanche troppo fornito.

Tale prefisso contiene un ambito d’azione talmente ampio da risvoltarsi, positivamente, anche nell’edilizia fino a coniare nuovi termini come biodegradabile e bioarchitettura, macrosettori che racchiudono in sé gli applicativi più vari, dalla struttura alla scelta dei materiali, dalle prestazioni al design dell’edificio.
Tuttavia non sono mai mancate le speculazioni e tutt’oggi troppo frequentemente questi concetti sono usati per descrivere situazioni che mancano di contenuti, talvolta per una spiccata attenzione al puro apparire, sentimento che si è appropriato di una società che, dopo l’omologazione post- moderna, guarda con distacco tutto ciò che riguarda la tradizione. Persa la “Regola d’Arte” che caratterizzava molti prodotti del passato la massificazione di tutto ciò che è chic ha preso il sopravvento, anche se spesso si parla di oggetti privati del valore intrinseco della storia che rappresentano.

A questo scenario si è aggiunto un calo esponenziale delle risorse non rinnovabili che hanno impoverito, con un incremento dei costi, la libertà del singolo individuo nei suoi spostamenti, nel suo quotidiano, nelle sue scelte, anche se egli raramente se ne è accorto. Al giorno d’oggi si sputano facilmente sentenze sul prossimo futuro senza questo tipo di fonti energetiche senza rendersi conto che i danni degli errori compiuti in passato possono essere le basi dei miglioramenti che si possono avere, ad esempio riqualificando e/o riciclando l’esistente. Gli avventori della bioedilizia hanno oramai mosso i primi passi e al crescere della domanda è seguito, ovviamente, anche il crescere dell’offerta: le aziende propongono ora materiali ecocompatibili e performanti a prezzi che si fanno sempre più contenuti e i progettisti ricercano nuove soluzioni che fondano economicità, funzionalità, bellezza e rispetto per l’ambiente.

In questa logica la moda è divenuta il tramite per concentrarsi su un problema reale, il mezzo per sensibilizzare l’opinione comune quanto per istruirla su un tema destinato, forse, a non passare più di moda.

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