MILANO – Che l’Italia fosse il fanalino di coda riguardo l’occupazione femminile in Europa non è una novità, lo rivelavano già recentemente i dati EuroStat. Che le discriminazioni perpetrate a danno delle donne nei luoghi di lavoro siano quasi una costante non meraviglia quasi più; che ci saremmo però trovati improvvisamente catapultati di nuovo in pieno Medioevo, certo questo può risultare un po’ più sconcertante.
Quello a cui ci stiamo riferendo è la triste e sconsolante verità dei fatti che ci raccontano di una realtà veramente fuori da ogni logica e buon senso, visto che viviamo nel XXI secolo. La decisione presa dalla società MaVib di Inzago, provincia di Milano, di licenziare solo donne a causa della crisi, suona davvero come un ritorno al Medioevo, come hanno sottolineano tutti i sindacati. L’azienda composta da un numero totale di 30 dipendenti di cui 18 donne e, produttrice di motori elettrici per condizionatori, era già da tempo in crisi e per tale motivo aveva già fatto ricorso alla cassaintegrazione. Nell’arco degli ultimi quattro anni, per brevi periodi, si parla di circa 2-3 mesi, senza alcun accordo sindacale, l’azienda aveva infatti ‘riservato’ il trattamento della cassaintegrazione sempre e solo a donne operaie ad eccezione di un solo uomo. E’ però di ieri l’annuncio del licenziamento di 13 lavoratori, tutti rigorosamente di sesso femminile, donne intorno ai 30-40 anni di età. La giustificazione? «Licenziamo le donne, così possono stare a casa a curare i bambini e poi, comunque, quello che portano a casa loro è il secondo stipendio». Questo ovviamente senza tener conto che una donna potrebbe non essere sposata, potrebbe essere divorziata o più semplicemente, come spesso accade essere sposata con un uomo a sua volta cassaintegrato se non addirittura disoccupato; o ancora che lavorare potrebbe essere più semplicemente un diritto di tutti e permettere un livello di vita leggermente più dignitoso. Ma questi sono solo dettagli marginali. Dunque non si tratta affatto di uno scherzo. Le dichiarazioni dei vertici dell’azienda hanno mandato su tutte le furie i sindacati e la Fiom ha definito “becero, offensivo e discriminatorio l’atteggiamento dell’azienda”.
Questa mattina intanto è cominciato un presidio davanti ai cancelli della fabbrica, anche se l’azienda smentisce la linea discriminatoria, pur confermando invece il momento di crisi, il calo produttivo e la conseguente e necessaria riorganizzazione interna. I sindacati a loro volta affermano che la situazione non è poi così drammatica e insanibile. Il consigliere regionale Giulio Cavalli ha definito l’atteggiamento dell’azienda non solo un insulto di stampo medievale, ma un “preoccupante segnale di discriminazione sociale” e conclude auspicando “un ravvedimento da parte dell’azienda” e soprattutto che “i suoi dirigenti escano dalle primitive categorie sociali ottocentesche”.
Insomma ecco che nel giro di poco tempo, di pochi anni, quasi in un batter di ciglia, si sta assistendo giorno dopo giorno al massacro di tutti i diritti individuali e collettivi, dal lavoro che da sacrosanto diritto si trasforma in ricatto, ad assunzioni con licenziamento incorporato, fino al culmine di licenziamenti coatti, come nel caso citato. Ci si ritrova così ad essere diventati semplici spettatori di una trama in cui il soggetto più fragile e bisognoso viene inesorabilmente e in maniera intollerabile calpestato quasi quotidianamente.