Il caso Poste italiane finisce al parlamento Europeo

Norme sulla sicurezza non rispettate e intimidazioni verso i lavoratori 

ROMA – Il “caso” Poste Italiane finisce davanti al Parlamento Europeo. Il 29 settembre scorso, infatti, l’eurodeputata Eleonora Forenza, quota L’Altra Europa con Tsipras, ha presentato un’Interrogazione al Parlamento Europeo  in cui si chiede di far chiarezza sulla “Situazione ambientale nel CMP: Centro smistamento corrispondenza delle Poste Italiane a Napoli”. Al CMP, uno dei pochi stabilimenti industriali di Napoli, lavorano circa 700 persone in condizioni ambientali che non rispettano i minimi standard di sicurezza e igiene richiesti dalla legge. Condizionatori rotti, bagni sporchi, acqua sui cavi elettrici quando piove in alcuni reparti, pavimenti disconnessi che risultano pericolosi per chi sposta pesanti carichi di corrispondenza, illuminazione insufficiente, ambiente rumorosissimo… e solo per dirne alcune. Tutto questo mentre il colosso – che opera in regime di monopolio – si avvia alla completa privatizzazione, aumentano le segnalazioni di disservizi da parte dei cittadini e l’Agcom ha annunciato un’inchiesta conoscitiva sullo “domanda del servizio postale”, con l’obiettivo di “raccogliere tutti gli elementi per consentire all’autorità di affrontare in maniera sistemica il tema del servizio universale”. Senza parlare del recente scandalo delle “lettere civetta”, cioè lettere campione spedite da una società controllore, la Izi Spa (pagata 1,2 milioni di euro dai contribuenti), incaricata dall’Agcom di monitorarne poi il tragitto e verificare così la rapidità e sicurezza del servizio. Queste lettere dovrebbero essere tenute  “segrete” a Poste Italiane, ma un’inchiesta di un noto quotidiano ha dimostrato che vengono intercettate e ricevono un canale di scorrimento “privilegiato”, evitando così che l’azienda venga multata per i ritardi.

L’interrogazione europea fa seguito a quella presentata al Senato della Repubblica il 6 agosto scorso dai senatori De Cristofaro e Barozzino dagli analoghi contenuti. Il “caso” poste italiane è degenerato dopo che questa estate gli impianti di condizionamento non hanno funzionato per circa 40 giorni tra giugno e luglio, portando gli operai a lavorare a temperature di anche 45 gradi. Alle richieste dei dipendenti di rispettare i requisiti minimi di sicurezza, l’azienda ha risposto con vere e proprie intimidazioni, come quella adottata contro un lavoratore, Antonio D’Alessandro, che si è visto imputare un provvedimento disciplinare pesantissimo per essersi allontanato dalla sua postazione, ma non dal luogo di lavoro, in seguito a un malore. Il lavoratore, che aveva più volte segnalato ai dirigenti la situazione insopportabile dovuta alla mancanza di climatizzatore nel suo reparto, il giorno 10 giugno era stato colto da malore e trasportato in ospedale a causa di una, come recita il referto, “vertigine con astenia” dovuta a colpo di calore, diretta conseguenza della difficile situazione lavorativa. Al rientro in azienda, A. D. si era ritrovato nella medesima situazione e, seguendo il consiglio dei medici ai primi sintomi di vertigine, si era allontanato dal suo posto per bere e bagnarsi i polsi; tanto è bastato all’azienda per contestargli l’abbandono del posto di lavoro e sanzionarlo con 10 giorni di sospensione senza retribuzione. E i sindacati in questa vicenda e dopo ben due interrogazioni cosa fanno? Poco o nulla: né una dichiarazioni, né un comunicato, né una piccola protesta. Eppure il loro compito dovrebbe essere quello di tutelare i lavoratori che, in questo caso, come si suol dire, oltre al danno subiscono anche la beffa. E mentre si aspetta la risposta del Parlamento Europeo al CMP di Napoli l’aria continua a essere “irrespirabile”.

 

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