ONU, usate armi chimiche in Siria. A Ginevra si lavora per la Pace a Damasco

ROMA – Dopo settimane di lavoro, è stato presentato il rapporto finale degli ispettori Onu sull’utilizzo di armi chimiche in Siria. Tale documento prova che in cinque dei sette attacchi avvenuti in Siria sono state utilizzate armi chimiche su larga scala contro civili, inclusi i bambini.

Il segretario generale Ban Ki moon ha presentato in giornata questa relazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, mentre lunedì prossimo si riunirà il Consiglio di Sicurezza per discutere la situazione, intanto
lo stesso Ban Ki moon ha affermato: “aver utilizzato queste armi rappresenta una grave violazione del diritto internazionale ed un affronto all’umanità intera”.
Come indicato nel loro mandato, gli ispettori Onu, non riportano nessun elemento sui possibili responsabili dell’utilizzo di queste armi, che siano le milizie ribelli che si oppongo ad Assad o le forze armate siriane fedeli al regime.
L’importante indagine, guidata da Ake Sellstrom, si limita a riportare fatti, testimonianze e analisi scientifiche e sostiene  che una bomba al Sarin potrebbe essere stata sganciata da un aereo, mentre l’uso di armi chimiche sparate come ordigni sarebbe quella riscontrata con maggior frequenza.
Delle località esaminate gli ispettori non hanno trovato prove in soli due casi, a Bahhariuyeh e a Cheick Maqsoud, mentre nelle zone di Khan al-Assal, Al Ghout, Jobar, Saraqueq e Ashrafiefh le testimonianze e i dati raccolti non lasciano dubbi.
Intanto il 22gennaio è fissata a Ginevra la conferenza internazionale di pace durante la quale si riuniranno diversi Paesi per trovare una soluzione al conflitto siriano costato in tre anni oltre 120mila vite e milioni si sfollati.
A guidare l’organizzazione della conferenza c’è l’inviato Onu Brahimi che sta lavorando ininterrottamente  per stilare una lista dei trentadue paesi partecipanti che alla fine potrebbe includere anche l’Iran e l’Arabia Saudita, oltre ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ovvero Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina.
Proprio Iran e Arabia Saudita giocheranno su fronti opposti, il primo sostenendo il regime di Bashar al-Assad, la seconda finanziando i gruppi dell’opposizione. Il termine per la presentazione delle adesioni scade il 27 dicembre, ma vi potrebbero essere delle proroghe per consentire a quanti più Paesi possibili di partecipare con ogni delegazione sarà composta da nove membri.
Dal summit di Ginevra usciranno le strategie che dovrebbero stabilire una sorta di road map verso la transizione a Damasco per preparare il dopo Assad, ma il presidente siriano non ha alcuna intenzione di lasciare il potere e potrebbe ripresentarsi alle prossime elezioni che si terranno alla fine del 2014.
Tuttavia se il rapporto sull’uso delle armi chimiche rivelerà una diretta implicazione del  governo di Damasco, la posizione di Assad potrebbe cambiare e non trovare più l’appoggio di Mosca e dell’Iran,  indispensabili alleati dai quali è sempre stato sostenuto.
La situazione tra gli Stati del Golfo è quanto mai tesa, ed in vista della conferenza di Ginevra il 10 dicembre il Consiglio di cooperazione delle sei monarchie del Golfo si è riunito in Kuwait senza i rappresentanti di Oman, Emirati arabi uniti e Arabia Saudita tutti in forte contrapposizione tra loro per le posizioni divergenti nei confronti dell’Iran.  Durante l’incontro i monarchi hanno chiesto il ritiro dei combattenti del movimento sciita libanese Hezbollah e dei consiglieri militari iraniani che sostengono l’esercito fedele al presidente Bashar al-Assad.
Sul fronte occidentale, Usa e Gran Bretagna hanno sospeso l’invio di equipaggiamenti, mezzi corazzati,  materiali per le comunicazioni ai ribelli siriani, continuando comunque a spedire aiuti umanitari. A spingere Londra e Washington a troncare i rapporti con i ribelli è la continua crescita dei gruppi jihadisti che secondo l’intelligence starebbero intercettando i materiali destinati ai ribelli dall’occidente.
L’episodio che ha fatto precipitare la situazione è avvenuto la scorsa settimana quando i combattenti dell’Islamic Front, coalizione che rappresenta i sette principali movimenti jihadisti presenti sul territorio siriano, hanno cacciato le formazioni dei ribelli da Bab al-Hawa, sul confine turco, alimentando i sospetti di Stati Uniti e Gran Bretagna. 
Il sotto segretario di Stato britannico, Hugh Robertson, ha dichiarato: “per il momento nessuna attrezzatura è caduta nelle mani dei militanti islamici, è ragionevole sospendere le forniture finché non si avranno chiarimenti su quanto sta accadendo” fra le fila della ribellione.

                                                                                                                                                                                                        

Andrea Fabiani

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