Julian Assange si costituisce. Cauzione negata. Gli hacker sul piede di guerra informatica

ROMA – La latitanza del super ricercato Julian Assange si è conclusa questa mattina, quando l’hacker-giornalista australiano si è costituito spontaneamente  alle autorità giudiziarie britanniche di Londra.

Su di lui spiccava un mandato di cattura  in relazione a presunte accuse di molestie sessuali nei confronti di due donne formulate dalla procura di Stccolma. Il fondatore di Wikileaks si è sempre ritenuto estraneo ai fatti, ma con tutta probabilità sono soprattutto le verità scomode emerse dai cablogrammi tra diplomatici americani sparsi in tutto il mondo e dipartimento di stato americano ad infastidire i potenti della guerra, tant’è che i capi d’accusa fanno un po’ sorridere.

Una donna sarebbe stata vittima di costrizione illecita lo scorso 14 agosto a Stoccolma, poichè Assange avrebbe usato il peso del suo corpo per tenerla sdraiata provocando implicazioni sessuali. Peccato che Assange non sembra avere una corporatura così forte e robusta. E poi una seconda donna sarebbe stata molestata perchè aveva espresso invano che Assange usasse il preservativo. Quest’ultima suona come una barzelletta.
Tuttavia il cerchio attorno a lui ha iniziato a stringersi sempre più dopo il fatidico 28 novembre, giorno in cui i giornali di tutto il mondo hanno dato il via alle pubblicazioni. Coincidenze?

Il terremoto diplomatico che si è scatenato è fatto noto, ma la parola d’ordine è stata chiara fin dall’inizio: Assange andava fermato ad ogni costo per mettere fine alla divulgazione dei segreti, tenuti nascosti per anni dall’amministrazione statunitense.  Ieri anche il suo conto bancario è stato chiuso arbitrariamente dall’amministrazione della svizzera PostFinace, mentre PayPal, Amazon e successivamente Mastercard e Visa Europe avevano di fatto sospeso il canale che permette ai lettori di Wikileaks di fare donazioni, unico fonte di sostentamente per l’hacker australiano.

Insomma un vero fuoco incrociato a cui sono già arrivate le prime risposte dalle oscure retrovie della rete. Questa volta a dare battaglia in difesa di Assange sono scesi in campo gli hacker che annunciano attacchi mirati “DDos” (Distributed Denial of Services attack)  contro i  bersagli nemici. Un attacco  durante il quale  vengono attivati un numero elevatissimo di false richieste da più macchine allo stesso server consumando in poco tempo le risorse di sistema e di rete, mandando completamente in tilt il provider.

Nel mirino sono già finiti PayPal e anche la banca svizzera di Assange come risposta al boicottaggio. “Colpiremo chiunque e qualunque cosa cercherà di censurare Wikileaks” hanno annuciato gli hacker. Si parla dei temuti Operation Payback e dei Anonymous, gruppi particolarmente pericolosi che solitamente dove riescono ad accedere lasciano terra bruciata. Nel mirino potrebbe finire presto anche il social network Twitter, che da qualche giorno censura l’account di Wikileaks, ostacolando di fatto lo scambio delle informazioni.

Intanto gli americani, appresa la notizia della resa di Assange, cantano vittoria, mentre lo stato svedese sembra intenzionato a chiedere l’estradizione di Assange. Una richiesta alla quale il legale di Assange si opporrà con tutte le forze. Insomma sarà una battaglia all’ultimo sangue e non solo nelle aule del Tribunale inglese, visto che gli americani propongono che sia processato per spionaggio.
Intanto il fondatore di Wikileaks si è rifiutato di dare a Scotland Yard il suo indirizzo, le impronte digitali e di sottoporsi all’esame del Dna, mentre il giudice britannico ha negato la sua liberazione sotto cauzione. Così Assange con ogni probabilità sarà ospite delle carceri inglesi almeno fino al prossimo 14 dicembre.
Nel frattempo la società civile non è rimasta a guardare. Oggi davanti al Tribunale inglese si sono mobilitate centinaia di persone, tra cui il famoso regista Ken Loach, l’attivista per i diritti umani Jemima Kahn e il giornalista australiano John Pilger. ma non solo attestazioni di stima giungono da Noam Chomsky, che assieme a diversi intellettuali ha  firmato una lettera aperta inviata  al loro premier Julia Gillard, affinchè garantisca  un sostegno fattivo ad Assange.

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Alessandro Ambrosin

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