ROMA – Siamo ormai giunti al terzo giorno dell’operazione battezzata “Odissea all’alba”, in seguito all’approvazione della risoluzione 1973 da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu che prevede la cosiddetta No fly zone.
Tuttavia le ultime notizie che giungono dalle zone calde rimbalzano da una parte all’altra del globo, ma non riescono a dare, almeno per ora, un chiara visione di quanto stia realmente accadendo nel territorio africano. Quali siano gli obiettivi e l’entità degli attacchi, quanti i morti e i feriti non è dato a sapersi. Siamo in balia degli eventi. Si parla di un possibile bombardamento nella residenza del rais, anche se quest’ultimo non è nella lista degli obiettivi. Corre voce che il figlio del colonnello sia morto, ma non si hanno conferme.
E infine uno degli otto piloti dei tornado italiani, che ieri erano decollati da Trapani alla volta di Tripoli, afferma che non sono state sganciate bombe dai loro velivoli. Si trattava forse di un’esercitazione? Una cosa è certa l’opinione pubblica spaccata tra interventisti e pacifisti vuole sapere con esattezza cosa sta accadendo nel paese africano dove regna l’incertezza.Tuttavia tra televisione di regime e operazioni militari avvolte dallo stretto riserbo è indubbio che si stia consumando una battaglia, anzi una guerra, ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo e di sapere quanto potranno durare le incursioni aeree, i missili balistici lanciati dalle navi e dai sommergibili statunitensi piazzati tatticamente nel Mediterraneo, proprio davanti alle stesse coste da dove migliaia di persone hanno tentato di salpare clandestinamente con imbarcazioni precarie pur di scampare alla miseria più nera e adesso anche alla morte. La priorità per l’Onu rimane quella di aiutare il popolo della Libia, o meglio appoggiare quella parte che ancora tutti noi continuiamo a chiamare i ribelli, i rivoltosi, gli insorti, i quali ringraziano con tanto di cappello le forze straniere per il sostegno militare, a patto che non intervengano le truppe di terra. Ma l’evolversi della situazione non è così cristallina come tentano di far apparire, tanto che qualcuno inizia a nutrire seri dubbi su “odissea all’alba”. L’occidente è rimasto a guardare gli accadimenti libici per oltre venti giorni mentre la diplomazia si è di fatto interrotta sul nascere, anzi addirittura qualcuno, molto vicino al colonnello come il nostro Presidente del Consiglio, se n’è proprio lavato le mani, quando avrebbe potuto sfruttare l’occasione per farsi garante di una mediazione tra le due fazioni in lotta nel paese libico, visti gli interessi che orbitano nel paese e a cui siamo legati. Qualcun’altro, invece, come i cugini d’Oltralpe fremevano, erano ansiosi di intervenire, tant’è che i caccia francesi erano già all’opera mentre il summit di Parigi non aveva ancora ufficializzato il via all’operazione militare. Un particolare inaspettato anche per il presidente Usa Barack Obama.
La posta in gioco è alta, inutile nasconderlo, molto più alta di quello che può sembrare. Non è stata quindi solo un’azione dettata dal buon senso a difesa di una popolazione schiacciata dalla morsa del regime. Perchè se così fosse, per coerenza, si sarebbe potuti intervenire benissimo anche nel Bahrein, nello Yemen, e in altri paesi governati da sovrani senza scrupoli. Ma non dimentichiamo che la Libia equivale a petrolio. E che petrolio! Uno dei migliori al mondo dicono gli esperti, estratto nelle stesse regioni raffigurate dai colori della bandiera libica: la Tripolitania, la Cirenaica e il Fezzan.
Se non fosse per il maledetto oro nero da cui dipendono i paesi occidentali probabilmente nessuno si sarebbe cacciato in un’azione bellica dai risvolti incerti. Al momento il maggior acquirente del petrolio è proprio l’Italia che copre con la Libia il 31% del suo fabbisogno nazionale. Una bella fetta se pensiamo che Francia e Germania ne acquistano rispettivamente solo il 7,6% e l’8%. E sembra che non tutte le riserve petrolifere siano state sfruttate, ovvero che ci siano territori ancora inesplorati che nascondono nelle sue falde l’oro nero . Questo significa che la Libia, terzo produttore mondiale, è un buon investimento per gli anni a venire. Insomma tutti con gli occhi puntano dritti al petrolio. E la Francia qualche conto se l’è già fatto. D’altra parte l’Italia e la Libia in questo momento hanno un problema. Come dice il proverbio tra i due litiganti il terzo gode.