Dov’è Emanuela Orlandi? Un mistero che dura da 29 anni

ROMA – Possibile che in 29 anni di indagini il caso Emanuela Orlandi è ancora uno dei misteri italiani più oscuri e intricati della storia italianacomplicati e senza nessuna risposta?

Neppure l’apertura della tomba di Enrico De Pedis, detto Renatino, il capo indiscusso della banda della Magliana ha portato quella svolta alle indagini che molti aspettavano con quel barlume di speranza. In un primo momento  vicino al sarcofago del criminale sembrava ci fosse un altro contenitore con delle ossa. Subito si è pensato a Emanuela e alla rivelazione nel 2005 che un uomo fece alla trasmissione Chi l’ha visto. “Se cercate Emanuela Orlandi aprite  la tomba di De Pedis”, disse la voce anonima all’epoca. Invece per ora bisognerà aspettare perchè di ossa umane nel muro adiacente alla nicchia di De Pedis nella basilica romana di Sant’Apollinare ce ne sarebbero almeno 200, che con i tempi dovuti verranno analizzati.
Resti  conservati in quel luogo da centinaia di anni, dicono gli esperti.  Insomma al momento l’unica conferma ufficiale arriva dal procuratore Giuseppe Pignatone che segue momento per momento l’evolversi della situazione, il quale assicura che il corpo dentro il sarcofago è quello di Renatino De Pedis e al suo interno non c’erano altri contenitori.

A questo punto nessuno osa più sbilanciarsi con ulteriori dichiarazioni, perchè anche questa pista non ha dato l’esito sperato. Anzi, qualcuno evidentemente ha fatto e continua a fare di tutto per depistare la verità. Insomma il mistero s’infittisce, le probabilità di avere risposte si assottigliano sempre più e il caso della ragazzina scomparsa a soli 15 anni il 22 giugno del 1983 non trova pace, come non la trovano i familiari che da anni non si arrendono e chiedono sia fatta luce.

Quel giorno Emanuela uscì dalla lezione di musica dieci minuti prima del previsto dall’edificio di piazza Santa Apollinare a Roma, in territorio vaticano. Telefonò alla sorella dicendole che le avevano offerto un lavoro di volantinaggio per la Avon  ad una sfilata di moda.  Impiego per il qiale avrebbe ricevuto una somma esagerata, 375.000 lire. La sorella le disse però di lasciar perdere. Questa fu l’ultima conversazione con i familiari di Emanuela. Secondo le testimonianze raccolte Emanuela incontrò prima un’amica che l’accompagnè alla fermata dell’autobus e poi stando al racconto di un vigile urbano fu vista parlare con un uomo alla guida di una Bmw do colore nero.
Non si sa se la giovane sia salita su quest’auto. Sta di fatto che da quel momento si persero le tracce di Emanuela. Da qui hanno inizio una sequela di avvistamenti, di telefonate inqiuietanti, specie quelle fatte da due persone che dicono di chiamarsi  Pierluigi e Mario  i quali sembrano aprire nei familiari un barlume di speranza. Dicono di averla vista a Campo de Fiori mentre suonava il flauto, chi parla di lei rivelando dei particolari attendibili, come gli occhiali a goccia che portava contro l’astigmatismo e la sua timidezza che la contraddistingueva.
Ancora rivelano di averla vista con un uomo e un’altra ragazza mentre vendeva cosmetici. Spunta addirittura il nome di Barbara che Emanuela avrebbe usato durante la sua fuga volontaria a detta di uno di loro  che disse di averle addirittura parlato.  
Ma poi un’altra telefonata arriva alla sala stampa del Vaticano e sposta l’attenzione. Un uomo dall’inconfondibile accento straniero, ribattezzato come l’americano, tira in ballo la ragazzina scomparsa affermando di tenerla in ostaggio e chiede che Mehmet Ali Agca, l’uomo che aveva sparato al Papa in piazza San Pietro, un paio di anni prima,  sia liberato entro il 20 luglio.  Ma non solo. Lo straniero tira in ballo due nomi: Pierluigi e Mario, gli stessi che telefonarono giorni prima a casa Orlandi, e che avevano già fornito degli elementi utili per dare credibilità alla sua richiesta.
L’americano un’ora dopo chiama la famiglia Orlandi, e fa ascoltare ai genitori un nastro con una voce di ragazza, che potrebbe essere Emanuela. Ma la registrazione potrebbe essere stata precedente alla scomparsa della ragazza. Nei giorni successivi, l’uomo insiste affinchè la sua richiesta sia evasa. Intanto il 17 luglio, viene fatto ritrovare un nastro, in cui si conferma la richiesta di scambio con Agca, la richiesta di una linea telefonica diretta con monsignor Agostino Casaroli, segretario di Stato pontificio, e si sente la voce di una ragazza che implora aiuto, dicendo di sentirsi male.

Poi l’americano si spinge oltre. Chiama addirittura lo zio di Emanuela chiedendo che il nastro sia reso pubblico e di informarsi presso monsignor Casaroli riguardo a un precedente colloquio. Sono ben 16 le telefonate che il misterioso straniero farà. Tutte da cabine telefoniche che non lo faranno rintracciare. La stampa traverso le rivelazioni dell’allora vicecapo del Sismi Vincenzo Parisi, arriva ad azzardare l’ipotesi che dietro l’americano si nasconda Paul Marcinkus, che allora rivestiva la carica di presidente dello Ior.
Il vaticano smentì dichiarando le rivelazioni prive di fondamento.

Il mistero continua mentre emergono nuovi elementi, nuovi intrecci inquietanti tra presunti personaggi  legati a organizzazioni criminali o ai servizi segreti.

Il colpo di scena arriva l’11 marzo del 2010 quando, a quasi 27 anni dalla scomparsa di Emanuela, alcune persone vengono indagate dalla Procura di Roma per sequestro di persona e omicidio volontario. Si tratta di Sergio Virtù, 49 anni, che secondo l’accusa  era l’autista di Enrico De Pedis. A fare il suo nome Sabrina Minardi, ex compagna di De Pedis, che lo ha collegato alla scomparsa della ragazzina. Virtù respinge ogni accusa. A finire nel mirino degli inquirenti anche Angelo Cassani, detto ‘Cilettò e Gianfranco Cerboni detto ‘Gigettò, che erano stati già arrestati per un sequestro di persona nel 1996. Il lavoro degli inquirenti prosegue nelle stretto riserbo. Si passano al setaccio i possibili collegamenti tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e quella di Mirella Gregori, una ragazza di 15 anni di cui si sono perse le tracce il 7 maggio dell’83. Ad accumunare le due vicende presunti rapporti tra la Gregori e un dipendente dei servizi di sicurezza del Vaticano e la voce di un telefonista che chiamò il bar di via Volturno di proprietà della famiglia della Gregori. Questa voce sarebbe simile a colui che aveva telefonato anche a casa Orlandi.

Gli inquirenti sembrano convinti che esponenti della Banda della Magliana sappiano quale fine ha fatto la Orlandi. Sotto osservazione, finisce anche un altro personaggio, Manlio Vitale, che si riteneva fosse legato ad ambienti della Banda della Magliana, dopo le dichiarazioni rilasciate da Maurizio Giorgetti, 56 anni e già legato ad ambienti di estrema destra.
Il 17 giugno del 2011 un presunto testimone telefona a un programma di ‘RomaUnò dicendo: «Io so dov’è Emanuela. È viva e si trova in un manicomio in Inghilterra, nel centro di Londra ed è sempre stata sedata. Con lei ci sono due medici e quattro infermiere». L’uomo, che si presenta come un ex agente dei servizi segreti del Sismi con il nome «in gergo» di Lupo Solitario, racconta che Emanuela sarebbe stata prelevata da una Bmw nera, auto che sarebbe stata lasciata nel sotterraneo del parcheggio dove poi è stata ritrovata; sarebbe stata trasferita su una Mini verde e sedata e a bordo ci sarebbero stati anche un agente inglese e una donna.

 «Emanuela è passata per la Germania, la Francia e l’Inghilterra -afferma il presunto testimone – a Bolzano invece non è mai passata». L’uomo rompe il silenzio soltanto dopo ventotto anni dalla scomparsa della ragazza perchè «stuzzicato» e «tirato in ballo con delle falsità» e «a questo punto paga chi deve pagare», sottolinea. Alla richiesta di spiegazioni sul movente del sequestro da parte di Pietro Orlandi «Lupo solitario» risponde: «Devi scovare in fondo a cosa faceva tuo papà, mi dispiace Pietro, scoprirai cose che non ti piaceranno», e poi spiega che Ercole Orlandi era venuto a conoscenza di giri consistenti di denaro da «pulire»; giri legati all’Istituto Antonveneta. Secondo il presunto testimone il rapimento di Emanuela Orlandi sarebbe legato a Roberto Calvi. Una nuova pista su cui il fratello di Emanuela, Pietro, intende fare chiarezza. Così decide di partire, insieme a una troupe di ‘Chi l’ha visto?’, alla volta del ‘Queen Elizabeth IÌ. Un tentativo per fugare ogni dubbio su questa ennesima segnalazione. Intanto, il presunto ex 007 Lupo, torna a farsi sentire. Con una nuova telefonata in tv riferisce di essere stato ascoltato dai magistrati a Bolzano come persona informata sui fatti. E di aver ricevuto minacce. Intanto continua la battaglia di Pietro Orlandi per tenere alta l’attenzione sulla scomparsa della sorella. Il fratello della ragazza promuove anche un appello-petizione al Papa per chiedere di non dimenticare Emanuela Orlandi e una mobilitazione fino a piazza San Pietro per chiedere la verità. Lo stesso Pietro era presente oggi a Sant’Appolinare in occasione dell’apertura e dell’ispezione della tomba in cui è sepolto il boss della Magliana.

 

La mappa della cripta

Alla tomba di Enrico De Pedis, il boss della banda della Magliana che fu sepolto negli ambienti sottostanti la chiesa di S. Apollinare a Roma, – tomba aperta oggi per le ispezioni legate all’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi – si accede attraverso un cunicolo che conduce a due porte, una a destra e una a sinistra. Quella di destra introduce nell’ambiente in cui era collocata la tomba di De Pedis. Qui, poggiato sopra il pavimento in palladiana, c’era il loculo in marmo che conteneva i resti di «Renatino», sistemati in tre bare, una dentro l’altra: quella più esterna di zinco, dentro la quale ce n’era una di rame e poi una di legno. Sopra la lapide in marmo, la scritta «Enrico De Pedis» in lettere dorate. Sulla parete sovrastante il loculo, c’è appesa una ceramica che raffigura una Madonna con Bambino e due angioletti, mentre sulla lastra che copre il loculo è poggiata una foto di De Pedis in giacca scura e camicia rosa, posta in una cornice con un fregio in argento. La porta di sinistra introduce, invece, nell’ossario, in cui sono sistemati i resti di molte persone vissute nei secoli scorsi. L’ossario è stato risistemato e bonificato nel 2005, per riparare ai danni del tempo e dell’umidità. E in quell’occasione i resti ossei sono stati tutti collocati in cassette. La presenza di un ossario in quest’area della chiesa è legata al fatto che un tempo nella zona attigua all’edificio sacro c’era il collegio germanico-ungarico. Molti seminaristi, studenti o sacerdoti che studiavano nel collegio, ma anche esponenti di famiglie facoltose che pagavano per questo, vennero sepolti nella chiesa. Quando intervennero le leggi napoleoniche, che ai primi dell’Ottocento vietarono le sepolture nelle chiese, i resti furono trasferiti nella cripta.

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