Luigi Bisignani. Il faccendiere oscuro

ROMA – L’arresto di Luigi Bisignani è il sintomo inequivocabile del marciume politico imprenditoriale che regna nei centri di potere della politica della finanza. E’ così ben radicato che difficilmente si riesce ad estirpare definitivamente.  Ma questa volta le cose potrebbero essere diverse visto che in manette è finito un faccendiere importante, potente e molto influente, forse troppo,   tanto da essersi  traghettato incolume – come un fantasma – dalla prima alla seconda Repubblica lasciando una scia di misteri ancora irrisolti.

Grazie alle conoscenze nelle alte sfere della finanza e della politica,  come Gianni Letta, l’ex piduista Bisignani rimane uno dei protagonisti più ambigui  sulla scena politica italiana. Giornalista radiato dall’albo,  milanese di nascita e romano d’adozione, Bisignani si muove con attenta discrezione all’interno di una ragnatela  di relazioni, scambi, favori e convenienze. Insomma un regista misterioso, che scrive anche romanzi gialli. Ed è forse per questo motivo che  evita accuratamente i riflettori del palcoscenico su cui muove i fili dei commedianti. Niente auto blu o guardie del corpo palestrate con tanto di auricolare. La parola d’ordine è il non apparire, ma comunque esserci. Bisignani è nato nel 1953, figlio di un manager della Pirelli. Dopo la laurea in Economia si trasferisce a Roma ed è qui, esattamente nel 1978, che inizia la sua carriera di faccendiere. Lavora come capo ufficio stampa per l’allora ministro del Tesoro Gaetano Stammati durante il governo Andreotti. Un’occasione d’oro per tessere relazioni importanti, premier dell’epoca incluso, con il quale si dice giocasse a carte.
Nel 1981 il nome di Bisignani, che lavorava come cronista all’Ansa, comparve nell’inchiesta della loggia P2. Il più giovane piduista – dissero i magistrati – iscritto nella cricca di Licio Gelli il primo gennaio del 1977 con tessera 1689. Un vero record di scalata. Ma gli inquirenti scoprirono dell’altro. Bisignani, infatti, oltre che a stilare quotidianamente la  rassegna stampa per il venerabile era diventato un abile inquinatore dei fatti. Insomma un vero e proprio sabotatore, come si direbbe in gergo militare. Bisignani chiaramente negò tutto. Si coprì dietro l’alibi del suo lavoro all’Ansa, per il quale  spesso fu portato ad indagare, guarda caso, proprio sulle vicende della Loggia P2. Sembrò quasi una sfortunata coincidenza ma non lo fu, perchè per Bisignai a soli 39 anni si aprirono nuove porte, nuove opportunità, tant’è che Raul Gardini lo elesse a capo delle relazioni esterne del gruppo Ferruzzi. Solo nel 1983 la Procura di MIlano chiese il suo arresto nell’inchiesta di Tangentopoli per violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. 92 miliardi era la maxi tangente che proprio Bisignani si prese in carico e trasferì nelle casse dello Ior, la banca del vaticano, per poi pagare le tangenti agli uomini della Dc. Per questo reato nel 1998 Bisignani fu condannato a 2 anni e 6 mesi di reclusione.
Ma non finisce qui. Il suo nome compare anche nell’inchiesta condotta da Ilda Bocassini sull’Alta velocità e in  Why not, l’indagine aperta dall’ex magistrato Luigi De Magistris, ora sindaco di Napoli.

Niente sembra aver scalfito l’illecità attività della cricca, o dei furbetti del quartierino come li definirebbe Di Pietro,  giunta fino ai giorni nostri e per la quale Bisignani ha continuato imperterrito  attraverso conoscenze e connivenze mantenute in tutti questi anni. E non dimentichiamo che dentro a questa intricata matassa è presente un altro nome eccellente, quello di un ex magistrato Alfonso Papa, deputato Pdl e intimo amico del Bisignani con il quale avrebbe costituito un’associazione segreta – almeno secondo la Procura di Napoli –  con rapporti e connivenze con le alte sfere della politica e della finanza. Insomma la storia si ripete e sembra che ancora una volta Bisignani sia l’uomo chiave della vicenda, l’architetto oscuro che esercitava  pressioni, ricatti  per ottenere vantaggi personali per lui e la sua cricca. Tra questi anche un sottoufficiale dei carabinieri Enrico Giuseppe La Monica, ora in carcere, il quale – secondo gli inquirenti –  avrebbe fornito agli altri due indagati le informazioni riservate su inchieste della magistratura  con la contropartita di una rapida carriera nei servizi segreti dell’Arma.
Bisignani, che dovrà rispondere di tre capi d’imputazione, è indicato come  dirigente d’azienda, mediatore e procacciatore d’affari, di fatto ascoltato consigliere dei vertici aziendali delle più importanti aziende controllate dallo Stato, quali Eni, Poligrafico dello Stato, Rai, ministri della Repubblica, sottosegretari e alti dirigenti statali.

Bisignani dovrà rispondere del reato di di favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio, di acquisizione illegale di notizie riguardanti due procedimenti giudiziari, il primo condotto dalla magistratura di Napoli nei confronti della commercialista Stefania Tucci, amica di Bisignani, mentre il secondo si riferisce a un’inchiesta su Finmeccanica svolta dalla Procura di Roma. E le risposte di Bisignani fanno tremare il Palazzo. Non è detto, infatti, che qualche nome noto si vada ad aggiungere. L’indagine continua.

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