ROMA – Ben pochi collegano l’inchiesta napoletana su Tarantini e Lavitola, nella quale il premier Silvio Berlusconi sarebbe vittima di estorsione, con la profonda crisi finanziaria che vede l’Italia sull’orlo del precipizio greco. Anzi, proprio la crisi finanziaria ha finito per far retrocedere le notizie su quell’inchiesta. Ed invece, il nesso è molto più evidente di quanto la comune attenzione del pubblico possa far sospettare.
QUELLO CHE STA EMERGENDO DALL’INCHIESTA, che ha sofferto di una clamorosa ed illegale fuga di notizie ad opera di “Panorama”, uno dei settimanali della galassia berlusconiana, sempre in prima fila contro le intercettazioni e i processi mediatici, è che il Presidente del Consiglio era praticamente ricattato da Valter Lavitola, una complessa figura di faccendiere, editore di una gloriosa testata, “L’Avanti!”, già organo del defunto Partito socialista italiano e da “Giampi” Tarantini, l’imprenditore barese che riforniva di giovani e belle ragazze il magnate di Arcore. I due si facevano foraggiare, secondo i pm napoletani, in cambio del silenzio. Tarantini, in particolare, sarebbe stato finanziato da Berlusconi perché accettasse il patteggiamento, per evitare un pubblico dibattimento nel corso del quale sarebbero state spiattellate all’opinione pubblica le telefonate intercorse fra lui e il suo amico presidenziale che, a detta di più di un investigatore, sono molto scabrose.
È L’IPOTESI GIÀ A SUO TEMPO LANCIATA DA GIUSEPPE D’AVANZO, contenuta nelle sue oramai celebri “dieci domande” al premier, il quale denunciava lo stato di sostanziale sottomissione che il Presidente del Consiglio accusava nei confronti di un variegato mondo di prosseneti, organizzatori di feste e di escort, limitandosi la sua libertà di azione e costringendolo a rapporti obbligati per salvare la propria immagine pubblica.
ORA IL NODO CHE ATTANAGLIA IL NOSTRO PAESE è proprio questo. Di fronte all’acclarata incapacità di questo Esecutivo di predisporre una manovra finanziaria in grado di rassicurare i mercati e di frenare la folle corsa dello spread sui titoli di stato italiani nei confronti dei bund tedeschi e di fronte alle profonde divisioni nella maggioranza, qualsiasi altro governo si sarebbe presentato già dimissionario di fronte alle Camere o, perlomeno, avrebbe, come ha fatto Zapatero in Spagna, annunciato le elezioni anticipate a febbraio, con il leader della coalizione chiaramente impegnato a non ripresentarsi mai più. Ed invece questo, nella sfortunata e imbelle Italia, non succede e non succederà, perché Berlusconi non può dimettersi a causa delle sue pendenze giudiziarie. L’unica possibilità che egli ha di uscire dai processi che ha in corso è obbligare il Parlamento ad adottare provvedimenti “ad personam” e, inoltre, presentare ai giudici che lo indagano o che vogliono sentirlo solamente come testimone (come richiede
UN PREMIER RICATTATO PER