Governo verso la fine. L’opposizione scalpita tra le contraddizioni del PD

ROMA – Se ne possono fare tante di ipotesi, ma la fine del governo  Berlusconi sembra essere proprio dietro l’angolo. 

E’ solo questione di tempo; almeno questo è la sensazione prevalente. Così, mentre il premier è troppo impegnato  per salvare la pelle nei tanti processi che lo coinvolgono direttamente, il suo governo vara la manovra “strapazza ceti popolari” per salvare la ristretta cerchia dei ricchi, dei privilegiati. Nel frattempo  accade che il Partito Democratico, la più grande forza d’opposizione,  continua a sopravvivere tra mille incertezze.  E non convince troppo neppure il suo leader Pierluigi Bersani, laddove i sondaggi lo danno al 27%  contro il 33% del 2008. Inutile negarlo, pesa ancora quel diffuso giudizio negativo causato dell’incoerente politica di questo grande partito e della mancata unità che il PD non riesce a raggiungere per le troppe differenze che compongono quest’area politica. Sempre secondo i sondaggi solo un risicato 20% di italiani giudica positivamente l’operato dell’opposizione, ovvero del PD. Un po’ pochino per fare due conti con il cambiamento di cui il Paese ha bisogno.

D’altra parte il PD, fusione tra i vecchi democratici di sinistra, che hanno sempre pensato che l’Italia sia un paese a vocazione destroide e la Margherita, influenzata al suo interno da una forte componente democristiana,  le differenze sono lampanti, – escluso il pensiero progressista che  nel Pd spesso combacia con “liberista” – anche da chi di politica ne mastica poca. Per questo motivo l’opposizione spesso preferisce astenersi, o meglio defilarsi da certe situazioni che la porterebbero inevitabilmente davanti a un bivio, come prendere una decisione a volte drastica. Quella che serve proprio in questo delicatissimo momento.
Ma, ahimè, l’insicurezza dei cosiddetti democratici è ben conosciuta e si ripete nel tempo. L’hanno dimostrato con il conflitto d’interessi, legge che se al tempo del governo Prodi fosse stata affrontata  avrebbe potuto cambiare il corso della storia politica. Lo continua a fare quando si tratta di decidere se appoggiare o meno uno sciopero al fianco dei lavoratori e degli oppressi, o durante una trattativa di lavoro per non scontentare quello e quest’altro sindacato, come fossero dei clan familiari. Insomma fare orecchie da mercante in preda al disorientamento sociale a cui assistiamo può provocare un vero e proprio suicidio politico. Inutile nasconderlo,  il rischio, anche quando può portare i suoi vantaggi, non è di casa nel PD.

Eppure tutti i numeri sembrano anticipare l’imminente caduta di Berlusconi. Dal 2009 i suoi guai giudiziari hanno minato la sua popolarità e creato tensioni all’interno del suo partito, rendendo questo governo poco credibile all’estero e soprattutto nei mercati finanziari dell’eurozona.
Una lenta implosione che sfiora indistintamente tutta la coalizione del centro destra, Lega Nord compresa. Un governo che anche attraverso la manovra finanziaria sembra navigare a vista, senza la benchè minima lucidità delle azioni intraprese, provocando sfiducia nell’Unione Europea, nei mercati e nelle agenzie di rating. Si prospetta un periodo di austerity, contestato perfino dalla Confindustria, che non rilancerà affatto questo paese, anzi. L’economia reale parla da sola.

La triste realtà è che l’opposizione, o meglio il PD, non è in grado di approfittare di questo momento in cui il centro destra sembra afflitto da una metastasi in stato avanzato. Non è il terzo polo a fare l’ago della bilancia in questa opposizione, bensì il Pd che deve fare i conti con una sinistra antagonista che si sta pian piano ricostituendo, rivitalizzando la solidarietà e la democrazia e da un Italia dei Valori capace di infondere fiducia nelle masse per la sua linea intransigente.
Il risultato equivale però a un’opposizione disunita, incapace nel suo complesso di presentarsi come l’unica alternativa e di rimettere in sesto questo Paese.  E qui non vale più la regola di scegliere il male minore, poichè pur sempre di un male si tratta. I sondaggi parlano chiaro sulla necessità di cambiamenti epocali e non palliativi dalla breve durata per salvare la faccia della politica incerta che attraversa il più grande partito d’opposizione. Questo chiede il Paese, questo chiedono gli italiani assillati da mille problemi, per garantire alle loro famiglie quel minimo di sopravvivenza dignitosa.
Neppure le parole di Bossi riescono più a scatenare l’inferno, quello vero. Parole leghiste che si traducono spesso in violente frustate, come se colpissero le natiche di un cavallo che offeso parte imbizzarrito. Invece qui niente, a parte le convenevoli parole di condanna, il più grande partito d’opposizione non riesce a partire alla riscossa senza voltarsi indietro e vedere se i suoi militanti lo seguiranno. Insomma è la paura di fare il passo sbagliato e perdere consensi e non quello di pensare a una mossa necessaria per il Paese, sia pure impopolare.

Intanto l’Idv lancia proposte. Invita gli altri leader dell’opposizione a salire su un palco comune, a discutere sul da farsi. Nichi Vendola accetta. Invece Pier Luigi Bersani rilancia. “Troveremo il modo di incrociarci”. E sempre con questo disarmante ottimismo s’inneggia all’ennesima manifestazione di piazza. Insomma un partito  come il PD, attraversato da mille contraddizioni deve fare la sua scelta. L’opposizione tutta  deve incontrarsi per ritrovare le basi del suo lottare insieme. Un  punto di partenza  per  ricostruire una nuova vita comune, di lotta. Il cambiamento è vicino, ma bisogna saperlo afferrare, prima che sia troppo tardi.

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Alessandro Ambrosin

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