Farmacie, taxi, notai. Chi tocca gli intoccabili è fulminato

Una risposta ai moltissimi lettori che hanno inviato lettere di protesta. Con qualche dato sui taxi a Roma e alcune considerazioni sulle professioni legali

Sono stato sommerso da una valanga di lettere, la maggior parte delle quali non pubblicabili, dopo aver scritto un articolo in cui, prendendo spunto dalle difficoltà che l’attuale governo incontra nell’introdurre dei timidi elementi di liberalizzazione nel mercato delle professioni, esprimevo la mia personale opinione che tali riforme siano necessarie ed accusavo i governi Berlusconi di non averle volute, abrogando le “lenzuolate” di Bersani. Decine di lettori inferociti mi hanno accusato di tutto soltanto perché, evidentemente, non ho espresso le loro stesse opinioni.

Non nascondo che la cosa non mi ha stupito più di tanto, perché, nel nostro Paese, le corporazioni sono molto forti e il sentimento di casta (o, per meglio dire, il “familismo amorale” di Edward C. Banfield) caratterizza la nostra cultura sociale ed economica. Comprendo anche che, almeno per quanto riguarda i tassisti, che mi hanno inviato le lettere più offensive, i loro modi poco garbati nascondono un disagio che va compreso. Insomma, fra il giovane notaio che mi illustra, con molta educazione e attenta dottrina, il perché loro sono diversi dagli avvocati e il tassista che mi urla che accetterebbe subito un posto da bidello c’è tutta la voragine che una politica economica disattenta ha creato in questi decenni di colpevole inerzia.

Alcuni tassisti mi hanno accusato di metterli insieme con chi (notai e farmacisti) guadagnano mille volte più di loro. Hanno ragione ma io non li ho messi insieme dal punto di vista del reddito ma dal punto di vista delle categorie protette. Perché non c’è dubbio, a meno di non voler negare l’evidenza, che anche i tassisti siano una categoria protetta, nel senso che i regolamenti comunali contingentano le licenze, decretandone un valore di mercato e limitando gli accessi. Nella teoria economica queste pratiche sono l’esatto contrario di un mercato concorrenziale, che è tale proprio per l’assenza di barriere in entrata e la spontanea formazione del prezzo in funzione della domanda e dell’offerta.

Visto che un lettore, molto gentilmente, mi fornisce dati illuminanti sulla situazione dei taxi a Roma, li riporto così come li scrive. EdBologna afferma che il rapporto fra autovetture e popolazione è di 2,81 taxi su 1000 abitanti a Roma, 1,63/1000 a New York e 2,43/1000 a Londra. Quindi a Roma ci sarebbero più taxi per abitante. Perché allora sembrano di più in quelle città? Perché, secondo il lettore, incide l’area su cui si estende la superficie urbana. Se consideriamo la superficie di Roma, New York e Londra, otteniamo: 6 taxi/km2 a Roma, 10,95 taxi/km2 a New York, 12,08 taxi/km2 a Londra. Insomma, a New York e Londra ci sarebbero più taxi perché c’è più densità abitativa su un’area urbana minore (ci sono più grattacieli).

Qualche considerazione la devo spendere anche per gli altri settori. Una delle argomentazioni principali che gli esponenti degli ordini professionali formulano contro le liberalizzazioni è che se le introduciamo faremo un grande favore soltanto ai grandi gruppi multinazionali e alla grande distribuzione. L’argomento è molto suadente ma anche molto capzioso. Dal punto di vista del consumatore, ha poca importanza che i profitti siano incamerati dalla grande distribuzione o dalle farmacie. Ciò che interessa veramente al pensionato o al lavoratore dipendente è risparmiare qualcosa sui farmaci che acquista. Quindi, ha un argomento altrettanto valido da opporre a quelli interessati dei farmacisti. La stessa critica viene formulata anche, ad esempio, dagli avvocati. Ma qui ci troviamo di fronte a malafede, perché il mercato delle professioni legali è già contrassegnato dallo sviluppo di megastudi, con centinaia di avvocati dipendenti, che peraltro usufruiscono ancora del privilegio di non essere considerati alla stregua di imprese dal codice civile e di non essere dunque sottoposti alle procedure fallimentari e agli altri obblighi contabili (ad esempio, presentare bilanci). Affermare, poi, che l’abolizione delle tariffe minime abbassa la qualità del servizio è un controsenso perché, semmai, è vero il contrario in quanto ogni avvocato sarà stimolato ad essere più bravo ed efficiente, visto che soltanto in questo modo potrà chiedere di più alla sua clientela (esattamente quello che succede in altri servizi, anche ad alto valore aggiunto, ma non protetti da una tariffa stabilita per legge).

Una parola sui notai. Rimango convinto che, come professione, potrebbe essere abolita perché il “sigillo” che questi operatori vendono su un mercato dove detengono il totale monopolio (atti pubblici, divisioni ereditarie, costituzione di società, ecc.) potrebbe essere svolta dagli uffici statali. Ad esempio, una divisione ereditaria potrebbe essere fatta da un ufficio dell’Agenzia delle entrate, senza parcella ma con il pagamento di una tassa dieci volte inferiore; una compravendita da un ufficio del Comune dove si colloca l’immobile, una società dalle Camere di commercio e così via. Il fatto che i “notari” nascano in un periodo storico in cui non c’erano le strutture statali contemporanee dovrebbe essere un altro indizio della inattualità di questa professione. Mi rendo conto, però, che il mio pensiero trova l’opposizione, alla fine sempre vincente, di un ceto professionale fra i più ricchi e potenti in Italia. Sarebbe però onesto riconoscere che le loro ragioni sono troppo interessate per essere scambiate per il bene di un’economia moderna.

 

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Farmacie, taxi, notai. Benvenuti nel Paese dove il Medioevo non è mai passato

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