Articolo 18. Torna il reintegro dopo mesi di scandalose bugie e inesattezze

Bersani ha convinto gli alleati e lo stesso Mario Monti. Ma il teatrino andato in scena per mesi è stato nauseante, con un’informazione incredibilmente scorretta e faziosa

L’ABC (Alfano-Bersani-Casini) ha messo a posto le cose in materia di licenziamenti ed articolo 18. Pierluigi Bersani, alla fine, è riuscito a convincere i suoi provvisori alleati e lo stesso premier Mario Monti. Ma ci sono voluti anni di vergognose inesattezze e di interessate bugie prima che ci si rendesse conto di quella verità elementare che la segretaria della Cgil Susanna Camusso e quello della Fiom Maurizio Landini hanno ripetuto all’infinito: se il licenziamento economico poggia su basi fasulle, la sua nullità deve comportare il reintegro del lavoratore. Altrimenti, si ritorna quasi al “licenziamento ad nutum”, quello con un cenno, che imperava prima che una legge del 1966 disciplinasse una materia che fino a quel momento aveva visto soccombente la parte debole del contratto, cioè il lavoratore.

Per giungere a questo risultato di buon senso e di logica giuridica (se c’è nullità di un atto, la situazione deve tornare come era prima), abbiamo dovuto sopportar le più incredibili inesattezze, provenienti non soltanto da persone poco credibili, ma anche da ambienti governativi e da cattedratici di chiara fama. Ad esempio, la terribile coppia Alesina&Giavazzi, sul più importante quotidiano italiano, ha avuto il coraggio di affermare che in Italia è impossibile il licenziamento per motivi economici in quanto non rientra nella “giusta causa” (mentre rientra nel “giustificato motivo oggettivo” a loro sconosciuto). La vicepresidente del Senato Emma Bonino, dopo aver affermato in televisione che “il reintegro del lavoratore è previsto soltanto in Italia” ed essere stata smentita, si è corretta con un’altra incredibile inesattezza: che, cioè, secondo lei, il reintegro è previsto nell’ordinamento tedesco ma non per i licenziamenti economici (mentre la legge lo prevede a discrezione del giudice). Il premier Mario Monti ha affermato, con sicurezza tutta bocconiana, che il reintegro non consente la flessibilità  in uscita ed è per questo che le imprese straniere non investono nel nostro Paese, dimenticandosi di due modestissimi ostacolucci: la burocrazia e la corruzione, che tengono alla larga dall’Italia qualsiasi imprenditore assennato. Non solo, ma sia lui che altri geniali interpreti del diritto (non solo della destra) hanno cercato disperatamente di convincere incliti e incolti della assoluta giustezza dell’ossimoro secondo cui l’occupazione può aumentare solamente se si licenzia di più. Un’idiozia che è stata contrabbandata dal sistema dei media, retto da giornalisti incapaci e a digiuno della materia.

A poco a poco, quotidiani e televisioni hanno corretto il tiro. “Rainews 24”, il miglior notiziario televisivo insieme a “Sky Tg 24”, ha cominciato ad intervistare i veri esperti della materia, cioè i giuslavoristi con cattedre universitarie di diritto del lavoro ed hanno abbandonato le sconclusionate opinioni degli economisti neo-liberisti, chiarendo come in Italia è possibilissimo licenziare, anche per motivi economici, perché lo consente una legge del 1966. Si chiama “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” e prevede, ad esempio, che se l’imprenditore ha acquistato una macchina che può sostituire un operaio, può licenziarlo e il giudice non si sognerà mai di contestare le motivazioni di quel provvedimento, a meno che il lavoratore non possa essere adibito ad altre mansioni. È così, grazie alle opinioni informate e soprattutto disinteressate dei giuristi, i media hanno cominciato a diffondere la verità sull’articolo 18, e cioè che il vero obiettivo della destra, rappresentata dai Sacconi, dagli Ichino, dai Monti, era quello di ripristinare la situazione così com’era negli anni ’50, cioè oltre mezzo secolo fa, spacciando tutto ciò per “riformismo”: togliere il controllo giudiziale sui licenziamenti, perché il posto di lavoro appartiene solamente all’imprenditore e non anche alla società e all’ordinamento che lo regola e, tutt’al più, dare un contentino al lavoratore licenziato senza motivo sotto forma di indennizzo. In questo modo, le imprese si sarebbero liberate rapidamente e con un costo sopportabile dei cinquantenni che ancora le affliggono, i cui contratti sono diventati molto onerosi rispetto a quelli del precariato legalizzato dalla legge Biagi. A questo, in realtà, si puntava e questo è stato evitato con il saggio accordo proposto dal segretario del Partito democratico.

Ma non bisogna farsi molte illusioni su un accantonamento definitivo della questione, perché al più tardi nella prossima legislatura, l’articolo 18 ritornerà in discussione e dovremo di nuovo assistere a tonnellate di nefandezze linguistiche, di spropositi giuridici e di ignoranza informativa. Siamo e rimaniamo, purtroppo, sempre in Italia.

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