SANREMO – Per gli intellettuali il festival di Sanremo è kitsh, qualcosa di plebeo, amato soprattutto dal popolino ignorante.
Fabio Fazio ne ha tenuto conto giacché la sua prima preoccupazione è stata quella di introdurlo spiegando che “popolare” non significa volgare ma indirizzato a tutti. Che certa musica, oggi considerata immortale, è stata scritta per il popolo e da lui amata. E’ vero. Solo il tempo ha ragione dei battibecchi da cortile, anche di esimi professori, sedimentando con gli anni il valore di ogni cosa. In fondo non esiste musica colta e musica incolta, piuttosto musica bella e musica brutta. Riconoscerla è difficile e richiede il concorso di tutti. Il festival, intanto, è partito col “ Va pensiero” di Giuseppe Verdi.
La Littizzetto ha sfidato le regole della femminilità all’Ariston – giunta in una carrozza bianca, con cocchiere “esodato”, dopo un monologo condito di paroline “sconvenienti” – ha preso in giro quell’apparenza fisica celebrata a Sanremo, sino a evidenziare come si saluta con un braccio non più sodo.
La coppia gay che ha raccontato, attraverso cartelli silenziosi, come si sia innamorata, come abbia deciso di sposarsi a New York, poiché la legge italiana non ammette questo tipo di matrimonio, ha lanciato un messaggio più semplice e penetrante di molti comizi.
Il picco assoluto di ascolti è stato raggiunto alla fine della parodia di Bersani messa in scena da Maurizio Crozza: 17 milioni 33 mila spettatori. Crozza, il più atteso e, a giudicare dalle contestazioni, il più temuto. Il comico aveva appena cantato nelle vesti di Berlusconi un brano ironico, “Formidable”, quando dal pubblico sono partiti urla, fischi, insulti: “Sei un pirla”, oppure “No politica”. E’ intervenuto Fabio Fazio a stemperare gli animi esacerbati, invitando il giullare Crozza, particolarmente provato ed imbarazzato, a proseguire la sua performance.
Ma chi ha paura dei giullari? Perché molti politici ne invocano la censura? Nel Duecento e nel Trecento i giullari, uomini di media cultura, spesso chierici vaganti per le corti o per le piazze, erano elemento di unione tra la letteratura colta e quella popolare. Guardati con sospetto dalla Chiesa cattolica che ne condannava il modello di vita e i canti. La diversità del giullare si manifestava nella connotazione pubblica: creatore di spettacoli in cui le leggi sacre venivano sovvertite, di conseguenza pericoloso per la morale cristiana. Per la Chiesa canale di sfogo del pensiero, non controllato da finalità e regole della gerarchia e del potere ecclesiastico.
Il buffone di corte, in altre parole, è capace di farci vedere, come il re sia nudo. Ciò toglie potere all’autorità. Chiunque si sia sottoposto a psicanalisi, sa che il distacco dall’analista e il raggiungimento dell’autonomia, si ottiene attraverso il passaggio dalla sudditanza a un rapporto di parità, nel quale si riconosce che il medico è un essere umano, che può sbagliare ed è meglio fidarsi di se stessi. La messa in discussione del potere terrorizza chiunque fondi su di esso il comando. Diventare coscienti che il re è nudo, significa detronizzarlo e attribuirsi uguali diritti.