Derivati. Tutti contro tutti. Confindustria suona il silenzio, Pil a-1,9%

ROMA – Dopo aver sollevato la questione “derivati” il Financial Time resta al centro di una disputa che in 24 ore ha cessato di essere solo economica per divenire squisitamente politica e che vede ormai un tutti contro tutti all’interno del governo. Una inchiesta è stata aperta dalla Prpcura della Repubblica di Roma. Intanto Confindustria isegnala una caduta del Pil per il 2013 a -1,9%.

Ieri il FT lancia la ‘bomba’

Ieri lì autorevole testata inglese aveva sollevato il dubbio che la rinegoziazione e la chiusura di alcuni contratti di finanza derivata avrebbe comportato oneri pari a oltre 8 miliardi di euro per le asfittiche casse romane. Il FT aveva inoltre fatto trasparire l’idea che l’Italia avesse sottoscritto una buona dose di questi contratti per effettuare operazioni di ‘maquillage’ sui propri conti pubblici, operazioni che per entità e modalità di attuazione costituirebbero una vera e propria falsificazione, grazie alla quale l’Italia ha ottenuto il semaforo verde per l’entrata in eurolandia dall’inizio.
Oggi il FT torna sull’argomento in un editoriale intitolato ”L’abbellimento finanziario di Roma”, per il giornale l’Italia ”dovrebbe dimostrare che non ha nulla da nascondere” sui derivati. Per il quotidiano finanziario ”suona falsa” la posizione di Roma che ”ha negato che gli swap siano serviti al proposito politico di portare le finanze pubbliche in linea con in criteri per entrare nell’euro”.
Per il FT ”Roma fa bene a sminuire la portata del costo per il Tesoro” ma dovrebbe fare uno sforzo ‘per rendere i conti pubblici più trasparenti”.

Ma cosa sono i derivati?

I derivati sono contratti o titoli il cui prezzo di mercato dipende dall’andamento del bene o mercato sottostante, cui è legato. I derivati costituiscono quindi uno strumento e come tali non sono buoni o cattivi, mentre può essere buono o cattivo l’utilizzo che se ne fa.
Sono infatti nati come strumenti sostanzialmente assicurativi, e quindi ‘buoni’, ma si è sempre più diffuso il loro utilizzo speculativo.
Se ad esempio produco pane su scala industriale e mi impegno ad acquistare un grosso quantitativo di farina tra sei mesi ad un prezzo fissato oggi mi espongo al rischio di netto calo del prezzo della farina, cosa che comporterebbe che tra sei mesi pagherei la mia farina un prezzo spropositato e rischierei di restare fuori mercato col mio pane troppo caro. Posso allora sottoscrivere un derivato con cui vendo la stessa farina, sempre tra sei mesi ad un prezzo un po’ più elevato del prezzo fissato per l’acquisto, tutelandomi in tal modo dal ribasso del prezzo della farina e rinunciando alla possibilità di ottenere utili da un innalzamento del prezzo della farina.
Ma se un investitore speculativo ritiene che ci sarà un grosso movimento nei prezzi di un qualsiasi potenziale sottostante, materie prime, tassi di cambio o d’interesse e chi più ne ha più ne metta, acquisterà derivati a scopo speculativo sperando di guadagnare sui movimenti dei prezzi del sottostante.

Il caso derivati,Italia e Draghi

L’accusa che viene mossa al Belpaese è quello di aver sottoscritto derivati non per soli fini assicurativi ma anche per manovrare in qualche modo le cifre del bilancio del nostro Paese così da renderle più digeribili agli eurocrati e far scattare l’ammissione ad Eurolandia, un’accusa che colpisce in pieno Mario Draghi che all’epoca era direttore generale del Tesoro.
Per FT il buco da otto miliardi causato dalla ristrutturazione di prodotti derivati firmati negli anni Novanta dipenderebbe principalmente da un colpo di sfortuna. Da un lato era impossibile prevedere a metà degli anni 90 l’attuale situazione dei mercati finanziari e dall’altro esistevano motivazioni legittime per la loro sottoscrizione.
Per il FT infatti Morgan Stanley ha incassato 2,6 miliardi di euro dall’Italia per una ristrutturazione nel 2012 mentre altri 8 miliardi sarebbero uscito per una ristrutturazione di 32 miliardi di derivati, a fronte di ciò, sottolinea il giornale, le ragioni per cui l’ex direttore del Tesoro Mario Draghi accese quei contratti potevano essere ottime ma non avrebbero dovuto includere quella di portare i conti in linea con i criteri europei per l’accesso all’eurozona.

Nel Governo ci si scontra
Per Francesco Boccia del PD, presidente della commissione Bilancio di Montecitorio “Il Financial Times fa le pulci all’Italia: è curiosa tanta attenzione nei nostri riguardi”. Per Boccia “Se i derivati dilagano nel mondo è grazie alla resistenza di una buona parte del mondo finanziario anglosassone, paladino di questi strumenti e degli operatori che hanno prodotto i 650mila miliardi di dollari indicati proprio dalla Bank for International Settlements, la Banca dei Regolamenti.” Boccia fa notare infine che il parlamento effettuerà una indagine conoscitiva sui derivati.
Per Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, “Lo stato delle finanze italiane sono come la formula della Coca-Cola. E’ un segreto.C’è opacità totale nel ministero delle finanze”
Questa affermazione non è andata giù a Matteo Colaninno, responsabile Economia del Partito Democratico, che ha dichiarato che le affermazioni “rese dall’on. Renato Brunetta al Financial Times, , sono gravissime. La vicenda appare ancora più pericolosa poiché queste parole arrivano durante un delicatissimo Consiglio europeo ove si rischia di generare pericolosissimi dubbi sulla veridicità, correttezza e trasparenza del bilancio della Repubblica italiana e su cui ha già preso netta posizione il ministro Saccomanni”.
Colaninno conclude invitando “chi ha le massime responsabilità, a partire dai capigruppo, di questa composita maggioranza del governo Letta, ad aiutare l’Italia e non infondere messaggi sbagliati e pericolosi pur di fare propaganda politica”.  Il leghista Morganti  dal canto suo propone invece il divieto di utilizzo dei derivati. Secondo l’eurodeputato “ Alla luce della pericolosità di questi investimenti, credo sia doveroso, da parte dell’Ue, vietare agli Stati membri e alle Istituzioni pubbliche il ricorso ai derivati”.

Centro Studi  Confindustria: toccato il fondo, ma Pil ancora più giù

Il Centro studi di Confindustria nello studio sugli scenari economici presentato oggi ipotizza che si sia arrivati al punto più basso del ciclo.Per il CSC “L’economia italiana mostra qua e là segni di fine caduta e, più aleatorie, indicazioni di svolta. Non certo ancora i germogli di ripresa che erano ben visibili nella primavera del 2009 e che sbocciarono in estate. Giusto a metà del 2013, sul finire del sesto anno della crisi, questo mazzo misto di evidenze sparse lascia solo intravedere l’avvio della risalita. Non costituisce solide fondamenta per prevederla”.
Ma intanto la previsione per il Pil nel 2013 piomba a meno 1,9%, contro la previsione precedente di meno 1,1%, e i consumi scenderanno del 3%. Non molto rosee le previsioni 2014 +0,5% il Pil nel 2014 e -0,3% dei consumi.

Le misure del governo molto limitate

La ripresa occupazionale verrà dopo tanto che i posti di lavoro persi dal 2007, 700 mila secondo il CSC, potrebbero salire a 817 mila l’anno prossimo.
Per il deficit Confindustria stima un 3% nel 2013, come l’anno precedente e un 2,6% nel 2014 con la pressione fiscale che nel 2013 salirà al livello record del 44,6%, mentre quella reale, senza il sommerso, farà segnare 53,6%. Per il 2014 previsioni quasi identiche: 44,4% pressione fiscale ufficiale e 53,4% reale.
Poco attivo il Governo secondo Confindustria che valuta “Bene l’enfasi verso la crescita, ma le misure varate sono ancora molto limitate” mentre servono “urgenti misure di promozione dell’occupazione” e di “politiche attive del lavoro”.

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