Tremonti e lo sterminio degli statali-kulaki

Il furore ideologico, da patriziato arcaico, caratterizza ogni virgola di una manovra classista, che non intacca di un euro i grandi patrimoni e i grandi evasori. In compenso colpisce alla cieca un po’ di ceto medio e la massa dei dipendenti pubblici

ROMA – Per alcune ore ha turlupinato più di un politico, ad esempio Antonio Di Pietro, che aveva parlato di “luci e ombre”. Giulio Tremonti ha compiuto la sua ennesima furbata, un decreto economico che sembra colpire i ricchi, chi ha redditi elevati, che dà un colpo alle folli spese della politica, accorpando comuni e province sotto i 300  mila abitanti e inasprisce le sanzioni per commercianti e professionisti (ma chi ci crede?). Una specie di illusione ottica che ha coinvolto più di un osservatore.

MANOVRA DI CLASSE. In realtà, si è trattato, come sempre, di una serie di provvedimenti classisti, che non toccano le ricchezze medie e grandi e scaricano sui “soliti noti” l’enorme fardello del risanamento subitaneo delle finanze statali, squinternato da otto anni quasi consecutivi di berlusconismo. È stato sufficiente fare due conti con la tabellina e si è subito scoperto lo sporco gioco di questo governo. Doveva trovare subito 20 miliardi: 8,5 li ha ottenuti dai tagli ai ministeri (il che significa non soltanto lotta agli sprechi, che pure ci saranno, ma meno servizi ai cittadini, meno polizia, meno efficienza, meno tutto); 10,5 dai tagli agli enti locali e alle Regioni (il che significa, anche qui, meno servizi, meno asili nido, meno cura delle strade, dei giardini, meno assistenza ai disabili). Poi, il colpo ai ricchi: un miliardo dall’aumento dell’imposta sulle rendite finanziarie e un altro miliardo dal cosiddetto contributo di solidarietà per coloro che hanno un reddito superiore ai 90 mila euro l’anno (cioè, in base ai calcoli dei tecnici del Tesoro, 559 mila persone fisiche che avranno un aggravio di 3000 euro a testa). In pratica, il 90% dei tagli addossati a ministeri e enti locali, cioè ai cittadini meno abbienti.

I RICCHI NON PAGANO. Lo spudorato classismo di questo provvedimento è sotto gli occhi di tutti. I veri ricchi, se si escludono i 559 mila cittadini che dichiarano più di 90 mila euro (in massima parte lavoratori dipendenti, dirigenti, pensionati di lusso, che non possono evadere), non contribuiranno per niente al risanamento dei conti pubblici, nella più vergognosa tradizione dei governi berlusconiani e dell’opera fino ad ora svolta dal fido tributarista di Sondrio per i suoi elettori di riferimento. Ma c’è di più, come nota Eugenio Scalfari nel suo editoriale domenicale. Mancano all’appello altri 27 miliardi, che dovrebbero essere reperiti dal versante assistenziale e dalla delega fiscale. Secondo il fondatore di “Repubblica”, grasso che cola sarebbe se da tali settori arrivassero 7-8 miliardi. Ne mancano ancora 20, sul quale, scrive, “c’è il buio assoluto”.

LA STRAGE DEGLI STATALI-KULAKI. Un’ideuzza forse alberga nella fervida fantasia del nostro ministro economico: quella di eliminare totalmente un intero comparto produttivo, i dipendenti pubblici, prendendo ispirazione dai lavacri di Stalin, in cui caddero senza più rialzarsi i piccoli proprietari terrieri russi (i kulaki) che ostacolavano i piani dell’industrializzazione forzata del colosso sovietico negli anni Trenta. Togliendo di mezzo poco più di 3,5 milioni di travet e di insegnanti, potrebbe forse sfasciarsi la macchina statale, ma il problema del deficit annuale nei conti pubblici sarebbe cancellato.

GLI AUTONOMI NON SI TOCCANO. Anche il prospettato aumento dell’Irpef per i lavoratori autonomi con redditi superiori ai 55 mila euro annuali lordi è andato in fumo, confermando ancora una volta come la bilancia dell’equità per questa maggioranza pendi sempre e soltanto a sfavore dei 17 milioni di lavoratori dipendenti. Insomma, una manovra che spudoratamente trae la sua ragione d’essere da meri calcoli elettorali e non dalla ricerca del migliore “trade off”, cioè la combinazione fra scelte diverse in grado di massimizzare il bene comune.

L’INCUBO PATRIMONIALE. L’orrore della patrimoniale – una imposta sui beni immobili successivi alla prima casa – e sui grandi patrimoni avrebbe potuto dare un gettito sostanzioso e soprattutto avrebbe fornito una qualche maggiore equità alla divisione delle spese, come d’altronde prevede anche l’articolo 53 della nostra Costituzione. Ma è proprio lo smaccato furore ideologico, tipico del patriziato arcaico rappresentato oggi dalla classe di governo berlusconiana, che impedisce al ministro economico di “mettere le mani in tasca” ai suoi colleghi miliardari.

BONANNI E ANGELETTI ABBOZZANO. Siamo proprio curiosi di vedere che cosa saranno in grado di spiegare i leader di Cisl e Uil ai propri iscritti che, sfortuna per loro, lavorano in un ministero o nelle scuole. Bonanni parla di “luci e ombre” della manovra, mentre Angeletti ha già denunciato l’attacco ai lavoratori pubblici. Ma sgranano gli occhi quando sentono Susanna Camusso parlare di sciopero generale. Loro, non conoscono più nemmeno il significato di quella parola.

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