Quale violenza su Capezzone?

ROMA – L’altra sera, a Roma, Daniele Capezzone, portavoce Pdl, è stato aggredito con un pugno in faccia da uno sconosciuto. Forte e unanime la ferma condanna dell’accaduto, alla quale ci sentiamo di aderire in piena sincerità, senza alcun appello, “se” e “ma”. Senza, oltretutto, alcuna stupida strumentalizzazione.

L’obiettivo che ci poniamo, invece, è un po’ più nobile: l’astrazione filosofica. Proviamo a ragionare per un attimo sul concetto di violenza a partire dalla peculiarità dell’evento: un parlamentare, espressione del potere, soggetto passivo di violenza fisica da parte di un individuo isolato. Un violento.

Violenza è l’atto di chi ricorre alla forza per imporre la propria volontà sugli altri. Walter Benjamin, nel suo scritto Zur Kritik der Gewalt (Critica della Violenza), gioca molto sul significato tedesco della parola Gewalt, che non è solo letteralmente “violenza”, bensì anche “autorità legittima”. È attraverso questo piccolo escamotage linguistico che il filosofo berlinese crea quel famoso parallelismo tra violenza e potere che gli servirà come perno per la sua critica del parlamentarismo, quindi della democrazia.

La riflessione del pensatore tedesco pone al centro della sua attenzione la questione se sia data o meno la  possibilità di un’autorità pura, che persegua la giustizia fine a se stessa senza alcun uso della violenza. La risposta, restando nell’immanenza terrena, è no: una tale forma di potere non è prevista né dal diritto naturale, che fonda la violenza dei mezzi sulla giustizia dei fini, né dal diritto positivo, la giustizia dei cui fini si regge viceversa sulla legittimità dei mezzi.

In sostanza, afferma Benjamin, un’autorità senza violenza non esiste proprio perché il potere stesso è fondato sulla violenza, è cioè esso stesso prevaricazione, espressione della forza dei potenti, del privilegio. Lo Stato non è nient’altro che una forma di violenza, fondata sulla violenza, che ha bisogno in continuazione dell’utilizzo della violenza (detta conservatrice) per affermare la propria autorità sui cittadini.

Per questo motivo, e qui giungiamo al nocciolo della questione, non è possibile privare il singolo individuo del proprio diritto naturale alla violenza. Il ragionamento è sottile e volgarmente può essere tradotto con un esempio: i manifestanti dell’Aquila, o quelli di Terzigno, protestano per un loro sacrosanto diritto, in risposta il potere costituito usa la violenza per disperderli. Capezzone, all’uscita dalla sede del Pdl di Roma, subisce un’aggressione violenta da parte di un libero cittadino. Perché la violenza statale è giusta e quella del singolo no? Chi lo decide? Lo Stato, appunto, per mezzo delle leggi. E perché? Perché il popolo delega il proprio potere attraverso le elezioni, quindi lo perde. E non solo: non tutto il popolo, perché chi non vota non delega alcunché.

Qui, secondo Benjamin, avviene il cortocircuito democratico: nessun Diritto può rappresentare la Giustizia Pura perché, in “rappresentanza” della violenza, è sempre costretto a degenerare, per affermare la propria autorità, nel senso di una “presenza” della violenza, ovvero lo Stato di polizia.

La violenza non è mai il mezzo attraverso cui uno Stato può perseguire una forma di Giustizia Universale proprio perché la rappresentanza della Violenza è, per sua essenza, criticabile, mentre la presenza della violenza non lo è mai. Uno Stato così operante crea una mistificazione della giustizia attraverso una forma di “violenza mitica”, che è propria solo di Dio, non criticabile, affine al concetto di Destino, pura immanenza storica.

La Filosofia della Storia ha quindi il compito di criticare ogni forma di dominio che si tinga di misticismo mitologico al fine di smascherarne la suddetta mistificazione della giustizia da parte del potere dello Stato. Ora, guardando al governo Berlusconi, senza voler entrare nella spirale infinita, delle polemiche, non v’è alcun dubbio che esso rappresenti una forma di dominio ideologico rappresentato dalla potenza comunicativa ed economica del premier stesso.

Ha ragione quindi Capezzone quando afferma che “chi sta con Berlusconi rischia?”

Sì, ha ragione, chi sta con Berlusconi rischia. Rischia, magari, un ceffone per il semplice motivo che, come spiegato, nessun Diritto Positivo può privare l’individuo del Diritto Naturale all’espressione della propria forma di violenza in risposta a quella che egli reputa essere la violenza dello Stato di cui si sente vittima.

Aldilà della sentita condanna di ogni forma di violenza, delle facili strumentalizzazioni di parte e delle ipocrite prese di posizione non argomentate, un ceffone non può essere cancellato.

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