Caso Piccolo. Il flop della politica e la voglia di cambiare

La vicenda del Vice-Presidente dell’Assemblea Capitolina è l’ennesimo caso giudiziario che vede coinvolte persone con incarichi elettivi o amministrativi a tutti i livelli dagli enti locali al Parlamento.

Un po’ tutte le amministrazioni, di ogni colore (certo, il primato negativo spetta alle Giunte Formigoni e Alemanno), in questi anni non ci hanno fatto mancare nulla, dalle tangenti fino agli scandali sessuali. Benzina per la macchina dell’anti-politica. Il problema è, però, che né i politici, né coloro che li demonizzano sembrano avere la ricetta per venirne fuori. In Parlamento la storia del giovane Piccolo ha ridato fiato a quanti, e sono la maggioranza degli eletti (nominati), sono contrari al sistema delle preferenze in barba alla volontà espressa da 1.200.000 italiani che hanno sottoscritto ingenuamente una proposta di referendum per cambiare l’attuale legge elettorale. Ingenuamente perché i più hanno sottoscritto pensando di star lì a chiedere il ritorno alle preferenze, mentre, dopo il tramonto della proposta Passigli, si andava a riproporre il ripristino del Mattarellum. Ovvero, l’elezione del 75% di parlamentari e senatori con i collegi uninominali con candidati scelti dai segretari dei partiti delle coalizioni in lizza e 25% con il proporzionale a liste bloccate, compilate anch’esse dai predetti segretari. La posizione dei parlamentari, quasi tutti in carica da decenni, è comprensibile.

Dopo il flop della politica e la voglia di cambiare il personale politico che c’è, tanto nella cosiddetta società civile, quanto alla base dei partiti, quelli in carica avrebbero ben poche possibilità di essere rieletti se venissero reintrodotte le preferenze. Per non parlare dei segretari di partito che, nominando gli eletti, hanno in mano un potere senza precedenti nella vita democratica e ove a ciò si aggiunga che questo sistema  garantisce per alcuni partiti, se non per tutti, delle entrate certe (i candidati collocati in posizioni sicure si impegnano a versare un lauto contributo variabile da una forza politica all’altra) si capisce quanto il sistema sia gradito. Allora meglio se si resta al sistema delle designazioni. I fan dell’anti-politica dal canto loro non sanno far altro che chiedere oltre alle preferenze la riduzione drastica del numero degli eletti e delle indennità non rendendosi conto che è la via sicura per arrivare all’oligarchia. Chi volete che si candidi e venga eletto con un sistema siffatto, se non chi ha interessi economici forti da tutelare? Ridurre il numero degli eletti significa penalizzare le forze politiche più piccole, i ceti sociali più deboli, ridurre gli spazi di rappresentanza. Va posto un tetto ai compensi, va dimezzata la retribuzione, non gli eletti. Altra ricetta proposta è quella di eleggere giovani e donne. Chi fa la proposta sembra non aver memoria storica, non erano forse giovani gli eletti nel 1948? Quanti di loro sono ancora in carica, e quanti ex-giovani sono tuttora lì dopo trenta e più anni? In una situazione tanto complessa non sarebbe meglio disporre di persone esperte e competenti? In nessun livello ci si improvvisa amministratori occorrono anni di rodaggio e competenze, oltre che onestà e spirito di servizio perché è un lavoro duro, che assorbe tempo e forze.

Le donne, francamente sarebbe meglio poter conquistare le postazioni politiche senza facilitazioni se non liste al 50% maschili e femminili, ma, soprattutto sarebbe ora di non assistere più al triste spettacolo tutto italico di avere donne elette o candidate solo se madri, figlie, mogli o sorelle di qualche illustre personaggio magari defunto. Per tornare ad una vera democrazia occorre tornare ad un sistema proporzionale con un piccolo premio di governabilità per la coalizione vincente, così come avviene da anni per i comuni. Uscire da un sistema maggioritario bipolare che ha gravemente minato la democrazia oltre che l’economia. Occorre mettere il limite massimo inderogabile al numero di mandati in tutti gli incarichi con l’ulteriore precisazione che, chi ha fatto il consigliere regionale, il parlamentare o il senatore non può comunque cumulare complessivamente più di tre mandati. Tre mandati bastano e avanzano e niente pensioni extra. Occorre regolamentare le modalità di tenuta delle campagne elettorali con un occhio all’ambiente. Quindi, niente più manifesti, niente cene, tetto alle spese, campagne prevalentemente telematiche. Altrimenti, continua il circolo perverso per cui si spendono nelle campagne elettorali cifre esorbitanti che poi in qualche modo si cerca di recuperare.  Perdita del diritto all’elettorato attivo e passivo per i corrotti e sequestro del patrimonio come per i mafiosi. In tempi di spending review sarebbe poi il caso di far cessare il vergognoso sistema dei rimborsi a piè di lista alle amministrazioni di appartenenza (spesso fittizie) degli eletti, anche lì occorre un tetto contribuzione inclusa, viceversa ci sarà chi continuerà a dichiarare lavori fittizi super-pagati e con livelli contributivi vertiginosi. Un fenomeno assolutamente trasversale a tutte le forze politiche. Così come, sarebbe il caso di far sparire gli emendamenti ad personam che producono costosi eventi spazzatura presentati come l’iniziativa di questo o quell’eletto.

Last but not least si cessi di trovare sempre giustificazioni quando l’inquisito è un uomo. Nel caso di Piccolo lo si sta facendo passare come un giovane plagiato dal fratello maggiore. Nel caso della Minetti come una che ha plagiato qualcuno assai più vecchio e potente di lei.

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