Un governo Pd-Pdl è contro natura. Non ci sarà

ROMA – C’è molto da fare, da protagonisti. Sarà difficile ma non abbiamo scelta: provarci e riuscirci, al governo e nel partito  Quelle  parole di Grillo “ sei un morto che parla” rivolte4 a Bersani non sono certo un bell’inizio. Però erano scontate.

Grillo nei toni e inabbordabile, sia quando usa parole funeree e quando dice battute facendole passare per cose vere, reali, possibili. Ma lo deluderemo, lui guarda ai suoi interessi e non a quelli dell’Italia. Calcola solo l’ampiezza del suo successo e infatti sogna un governo fra Pd e il Pdl che favorirebbe la sua eterna protesta. Questo governo, diciamolo chiaramente ,anche se altri vi pensano, è contro natura. Non ci sarà. Grillo non  se la può cavare con qualche battuta,  con parole violente come fosse ancora in campagna elettorale. Dovrà decidere davanti a una proposta concreta che riguarda cosa fare del Paese, del suo Paese, come partecipare alla vita  parlamentare. Il  Movimento 5 Stelle dovrà cambiare natura. Fino ad oggi è stato una proprietà privata in mano a Grillo, ora diventerà un soggetto plurale, rappresentativo delle istanze dei cittadini.  Un ruolo che lo porterà, per forza di cose, a doversi misurare con problemi che fino ad oggi ha snobbato. I cittadini,milioni e milioni è innegabile che non sia così, vogliono un governo stabile,riformista, che incida e provochi un grande cambiamento nel Paese. Non potrà fare finta di niente. Questo è quello che vogliamo noi , che propone il Pd. L’elettorato non capirebbe un governo insieme a Berlusconi. Dobbiamo lavorare, a partire dal gruppo dirigente del Partito, perché Bersani abbia un mandato pieno e una proposta convincente. Nelle riunioni il Pd è unito, nei retroscena di cui parlano alcuni giornali no.  L’unità del Partito, del suo gruppo dirigente, è problema  fondamentale per affrontare una situazione come quella che ci troviamo di fronte.

Siamo mancati nella rappresentazione della rabbia sociale

La diffusione e l’energia del malessere che il voto ha certificato era avvertita. Ma non è un problema di prognosi. La realtà è che siamo mancati nella rappresentazione della rabbia sociale. Questo è il punto perché da venti anni facciamo una grandissima fatica a parlare con i ceti popolari del Paese. Per un partito di sinistra, questo fatto rappresenta di per se una sconfitta tremenda. Capire e rimediare è condizione essenziale.  In questo ultimo anno ci siamo attardati a parlare dell’agenda Monti, intestandoci e perfino rivendicano per il< futuro politiche di austerità, senza vedere che questa azione, necessaria all’inizio, zelante poi, non guariva il Paese ma finiva per alimentare la protesta. Il Pd si è diviso. C’è chi ha rincorso politiche economiche incomprensibili per la gente e la nostra proposta non è ststa avvertita nella sua interezza, serietà, anche novità.  Ed abbiamo perso il contatto con la gente, quando abbiamo smesso di essere lì, con loro. Le primarie ci avevano riavvicinato, abbiamo suscitato consenso, simpatia. Una buona risposta senza dubbio, ma non  sufficiente anche perché stimolano quello che un tempo avremmo  definito “ ceto medio riflessivo” ma non il ceto popolare. Noi, ora, dobbiamo tornare lì, con loro. Questa è la sfida. E non dobbiamo tornarci con un leader carismatico. Una sfida di queste dimensione è l’essenza per tutto un partito. Una sfida che guarda al futuro.

Una nuova generazione per ricostruire il rapporto con la società

 Con la prova del governo si chiuderà l’epoca di un gruppo dirigente storico, una nuova generazione deve assumersi il dovere di ricostruire il rapporto con la società. Si dice che Se il candidato premier fosse stato , uno della nuova generazione, Renzi, molto citato dai giornali. Certamente avrebbe rappresentato una risposta alla voglia di rinnovamento. Ma se si guardano i risultati elettorali si scopre che le sue convinzioni economiche, la sua lettura della crisi, le  ricette liberiste,incarnate da Monti e Giannino,hanno raccolto< insieme l’11%. Il voto le ha sconfitte. E il calo pesante nel Sud ci sollecita una riflessione. C’’è una questione di iconografia del Partito democratico. A parte Anna Finocchiaro i leader sono tutti nati e cresciuti da Pisa in su. Ciò si riverbera sulla fatica di comprendere il Mezzogiorno, sulla difficoltà di proporsi come rappresentanti credibili. Il calo nelle “regioni rosse” risponde ad una mancata rigenerazione della classe dirigente, di queste zone, alla difficoltà di aprirsi ai cittadini.  E si torna alla fatica che facciamo a parlare con la gente, con gli strati popolari in primo luogo. Governare non è di per sé impopolare. Non ci fa salvare l’anima. Se governi bene e fai le riforme che servono crei consenso. Ma il Pd era diviso nel giudizio  sull’operato del governo Monti. La gente come si è visto aveva invece una sola opinione.

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