ROMA – Il Capo dello Stato preme perché si avvii il percorso sulle modifiche istituzionali, a partire dalla legge elettorale. Ha posto un termine, quello dei 18 mesi già previsti dal premier Enrico Letta che è stato ricevuto al Quirinale insieme al suo vice, ma di pari grado, Alfano e i ministri Quagliarello e Franceschini.
Il richiamo dei diciottomesi è stato interpretato non solo come il termine per le riforme costituzionali, ma anche come la fine della legislatura. E ciò ha messo ancor più in allarme il mondo politico, sempre più in preda a convulsioni, nel senso figurato,ovviamente, retromarce, riposizionamenti. Tanto che lo stesso Grillo se la prende con Napolitano quasi volesse prolungare la vita del governo contro il quale spara bordate ogni giorno. Il comico, preso a bersaglio. Lo stesso premier con quella incauta affermazione sulla necessità di cambiare il metodo di elezione del Presidente della Repubblica, ha dato modo a Berlusconi, al pdl di rispolverare un vecchio cavallo di battaglia quello dei semipresidenzialismo. In ciò ha trovato una sponda proprio in Romano Prodi che ha abbandonato di fatto posizioni dei cattolici democratici sempre contrarie al presidenzialismo. E nel Pd si è aperto uno scontro che martedì troverà un punto di approdo nella direzione generale che avrà all’ordine del giorno un altro argomento molto scabroso, la convocazione del congresso.
Il pressing di Napolitano per cambiare la legge elettorale
Sullo sfondo Giorgio Napolitano avverte il rischio che la questione più importante, la riforma della legge elettorale, del “ porcellum “ che lui stesso aveva chiesto come solenne impegno alle forze<politiche che lo sollecitavano a rimanere al Quirinale rimanga lettera morta. Coinvolta in un dibattito sul presidenzialismo che non porta niente di buono al Paese, divide le forze politiche e provoca scontri all’interno del Pd, forza determinante per assicurare la vita del governo della strana maggioranza. L’inquilino del Quiinale non si pronuncia,ma Eugenio Scalfari nell’editoriale domenica annunciando una lunga intervista con Napolitano fa capire che il Capo dello Stato non vede di buon occhio il semipresidenzialismo e lui stesso dice di essere contrario. La partita si gioca tutta in casa del Pd. E non è un belvedere proprio a pochi giorni dai ballottaggi per le elezioni dei sindaci, a partire da quello di Roma. I Democratici sono sotto attacco, vengono sballottati di qua e di là, dai media, da quelli che premono per manomettere la Costituzione, dai fogliacci berlusconiani, dallo stesso Corriere della sera che mobilita i suoi editorialisti, alcuni dei quali, per dare valore alle tesi presidenzialista, il voto per eleggere i sindaci. Anche all’interno del Pd c’è chi confonde le due votazioni. In Francia ci sono due votazioni separate, una per eleggere il capo dello Stato e una per eleggere il Parlamento. I sindaci invece si eleggono insieme ai Consigli. In Francia può capitare ed è capitato che venga eletto un presidente della Repubblica di destra e si trovi a dover “coabitare” con un parlamento di sinistra. Il presidente è eletto direttamente dai cittadini e non è sfiduciabile. E’ titolare del potere esecutivo che esercita nominando il Primo ministro. Il premier deve avere per il suo governo la fiducia o, almeno, il tacito assenso del Parlamento. Nel 1986 e nel1983 sotto la presidenza rispettivamente di Mitterand e di Chirac si instaurò la “ coabitazione” tra un presidente e un premier a lui ostile.
Il modello francese non garantisce la governabilità
E pensare che anche autorevoli esponenti del Pd, oggi ammaliati dalla sirena semipresidenziale sembrano non conoscere questa possibile situazione o fanno finta, cosa possibile, eppure c’è chi , nello stesso Pd, parla di “governabilità” che sarebbe garantita dal semipresidenzialismo. Ipotesi campata in aria? Vediamo. Sarà una coincidenza ma il Prodi convertito al modello francese sarebbe senza dubbio il candidato del centrosinistra. E non c’è dubbio che il cavaliere e “ solo lui” come ha detto Schifani e come ripetuto da Alfano sarebbe il candidato della destra. Fra l’altro da notare che la Lega si chiama fuori. Non solo la manifestazione che si è svolta a Bologna, promossa da “ Libertà e Giustizia” con la adesione di un centinaio di associazioni., ha detto una cosa molto chiara, “La Costituzione non è cosa vostra”. E lì su quella piazza a difendere la Carta fondante della Repubblica c’era un mondo di sinistra, fra cui alcuni giuristi , costituzionalisti, intellettuali insieme a dirigenti sindacali come Susanna Camusso e Maurizio Landini. Non pericolosi sovversivi, bolscevichi estremisti. La direzione del Pd si muove su un terreno scivoloso. A congresso non ancora iniziato, quando devono essere data e modalità, si parla già di alleanze di ferro. A me il segretario e il candidato premier a voi, il vice segretario. Destra, sinistra, centro si mischiano, si annunciano alleanze che il giorno dopo saltano. La “ governabilità” del Paese richiede ben altro da un partito che si è candidato per cambiare il paese, che vuole ancora cambiarlo.Manon si venga a dire che per governare il Paese, per aprire la strada al cambiamento occorre cambiare l’ordinamento istituzionale, stravolgere la Costituzione. Non ol sistema parlamentare ad aver creato situazioni come quella che stiamo vivendo. Sono stati i parlamentari del Pd, cento e passa, a far fuori prima Marini e poi Prodi. Se uno di loro fosse stato eletto era tutta un’altra cosa, forse le “larghe intese “ sarebbero rimaste nel cassetto. Non è un caso che quel sistema elettorale vigente per il presidente della Repubblica sia quello stesso che ha mandato al Quirinale Giorgio Napolitano e prima di lui, fra gli altri, Einaudi, Pertini, Scalfaro, Ciampi. Insomma il sistema funziona. E’ìl pd che non ha funzionato.