Pd le vere spine di un partito in difficoltà

Ciò che dà più fastidio, anzi lascia davvero sconcertati, è che di questi tempi di motivi per attaccare il PD ce ne sarebbero a iosa, tant’è che a breve li elencheremo tutti.

Una parte della stampa e alcuni dirigenti, invece, al termine della Direzione Nazionale di venerdì scorso, non hanno trovato di meglio che muovere a Epifani le uniche critiche che proprio non si sarebbe meritato: voler blindare il Congresso, restringendo la partecipazione ai soli iscritti, e volerlo rinviare il più possibile, non fissando una data che, come tutti sanno, non deve essere indicata dal segretario ma dalla presidenza dell’Assemblea Nazionale, convocata per sabato 14 settembre.

Entrando nel merito delle questioni, Epifani non ha mai detto di voler far partecipare alla scelta del segretario i soli iscritti: la sua idea, per quel che si è capito, è quella di riproporre un albo, sul modello di quello creato lo scorso autunno in occasione delle Primarie per la scelta del candidato premier. Per quanto riguarda poi la data delle prossime Primarie, il segretario è stato ancora più chiaro: “Io potrei e penso di proporre alla presidenza dell’Assemblea entro la fine di novembre per concludere i lavori del nostro Congresso”. Perché, dunque, questo gioco al massacro, tanto assurdo quanto autolesionista? Possiamo capire, pur disapprovandola, la scelta poco commendevole di certi colleghi, ma davvero fatichiamo a comprendere quale sia la strategia politica di chi, al contrario, avrebbe tutto l’interesse a mostrare l’immagine di un partito se non unito e capace di giungere a una sintesi tra le varie anime, quanto meno in grado di confrontarsi serenamente al proprio interno.

Tuttavia, come detto, non sono questi i veri problemi e i veri mali del Partito Democratico. Per comprenderli, per una volta, è opportuno affidarsi alla crudezza dei numeri e, nello specifico, dei sondaggi realizzati dall’istituto SWG per la trasmissione “Agorà”. Stando ai dati forniti da Weber, nell’ultima settimana il PDL ha guadagnato mezzo punto percentuale, passando dal 26,5 al 27 per cento, il Movimento 5 Stelle l’uno e mezzo per cento, passando dal 18,5 al 20 per cento mentre il PD, dilaniato dalle proprie divisioni e dai propri contrasti interni, ha perso addirittura due punti, scivolando dal 25,5 al 23,5 per cento. A tal proposito, è interessante rilevare anche ciò che sta accadendo a sinistra del PD, dove SEL rimane stabile al 6,4 per cento e Azione Civile (il movimento guidato da Antonio Ingroia, nato sulle ceneri della sfortunata esperienza di Rivoluzione Civile) guadagna lo 0,3, passando dall’1,8 al 2,1 per cento.

Il che, tradotto in termini politici e programmatici, significa in poche parole che, mentre il PD continua a donare sangue a un governo tanto necessario quanto quotidianamente esposto alle richieste sempre più insostenibili dei falchi e delle pitonesse pidielline, l’Italia sta virando nettamente a sinistra, dicendo addio sia alle promesse illusorie e mai adempiute del Cavaliere sia al liberismo gentile del professor Monti e di un’organizzazione, Scelta Civica, che rischia di essere ricordata come la grande incompiuta di questo turbolento anno elettorale.

È qui che si annidano le vere spine nel fianco del Partito Democratico che non sono, come tendono a far credere certi editorialisti in malafede e certi esponenti dai giudizi spesso avventati, i regolamenti e le numerose beghe intestine, quanto, più che mai, le titubanze, i tentennamenti, la paura di tutto, persino dei social network, la mancanza di una linea chiara, credibile e condivisa e, in particolare, l’incapacità di gestire un dissenso interno che, oltre ad essere assai esiguo, potrebbe persino risultare salutare per un partito che da mesi sembra prigioniero di se stesso e dei propri imperdonabili errori.

Senza dimenticare la questione scottante, e destinata presto a riaprirsi, della collocazione internazionale del PD perché non è pensabile che il più grande partito della sinistra italiana non faccia parte del PSE, al pari di tutti gli altri partiti della sinistra progressista e riformista europea.

Come non è ammissibile questa resa al populismo e alla demagogia, al leaderismo e al liberismo in campo economico che impediscono al Partito Democratico di esprimere la sua vera natura e, soprattutto, le idee dei suoi iscritti e militanti.

Perché, per riconquistare il consenso perduto, non bastano il giorno per giorno e l’ordinaria amministrazione: bisogna avere il coraggio di dire dei sì e dei no, decisi e determinati, entrambi profondamente impopolari. Bisogna dire sì al mantenimento dell’IMU per chi può permettersi di pagarla e no all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti che rischia di consegnare la nostra politica in mano alle lobbies, conducendola anni luce lontano dagli standard democratici europei; sì alla diminuzione delle tasse sul lavoro e no alla permanenza al Viminale di un ministro che non ha saputo affrontare come si deve un caso diplomatico di una gravità inaudita; sì allo Ius soli e ai matrimoni e alle adozioni da parte delle coppie omosessuali e no all’acquisto degli F-35 che, oltre ad essere costosissimi, appartengono oramai a una tecnologia superata.

Insomma, bisogna tornare a sinistra, là dove sta andando il Paese, là dove deve stare il PD, là dove c’è l’unica forma di cambiamento e di promozione umana e sociale auspicabile. E bisogna farlo in fretta, prima che la disaffezione, il disincanto, la rabbia e la disillusione di chi non si sente più rappresentato da nessuno condannino all’estinzione l’unico partito che, al netto dei suoi difetti, è ancora in grado di indicare all’Italia una via di sviluppo e di rinascita.

Roberto Bertoni

 

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