Società maschilista e famiglia patriarcale. Facciamo un po’ di ordine

 

ROMA – Si è parlato, nelle ultime settimane, di necessità di abolire la famiglia patriarcale italiana quale motivazione sottesa alla legittima richiesta di modificare la norma, tutta consuetudinariasecondo la quale ai figli si attribuisce automaticamente il cognome paterno.

Non è chiaro se tale posizione sia frutto di un equivoco o di una grossolana svista sulla reale situazione sociale del Paese Italia o da una molto frequente manìa di esagerazione nell’ individuare una spiegazione eclatante per giustificare la propria idea. Siamo sempre pronti ad usare la scure contro gli italiani concepiti da alcuni tra loro come un popolo sempre e comunque retrogrado, conservatore ed incapace di assaporare il bello del progresso. Forse qualcosa di vero ci sarà pure in questa visione denigratoria e pessimista della nazione di appartenenza, ma certamente è chiaro che i promotori di una riforma giusta hanno preso un grande abbaglio nell’affermare che l’attuale disciplina sia la fonte dell’imposizione della famiglia patriarcale, e ciò si spiega per diverse ragioni.

Il modello patriarcale di famiglia che si diffonde nel dopoguerra nel nostro Paese è il portato di una società contadina in cui la figura dell’uomo più anziano svolgeva un ruolo di assoluta preminenza rispetto ai figli e alla moglie. Tale modello decade o quanto meno subisce grandissime trasformazioni con lo sviluppo industriale e lo svolgersi della vita nelle città. Inoltre Chi osservi la realtà socio-familiare di una grande fetta del mezzogiorno di Italia, e non solo, si accorge chiaramente che il modello di famiglia lì prevalente è quello matriarcale in cui la figura della donna è cruciale all’interno delle dinamiche tra i membri della famiglia benché il cognome identificativo della stessa sia esclusivamente quello paterno. È dunque profondamente sbagliato e superficiale dire che il cognome del padre genera necessariamente una famiglia patriarcale perché questo è smentito dai fatti.  Il modello di famiglia deriva da esigenze economiche e culturali della società.  Non si sarà fatta confusione tra società maschilista e famiglia patriarcale? 

Bene avrebbero fatto invece i promotori e le promotrici della corretta e necessaria riforma, a ricercare le ragioni del cambiamento nel supremo interesse del minore a vedersi riconosciuta la possibilità di ricollegarsi una identità familiare che viene pregiudicata dalla norma attuale, ma anche dalla stessa proposta di modifica. Il cognome attribuibile è dei figli, iquali non appartengono  né all’uno né all’altro genitore. Questa vecchia concezione proprietaria della prole riflette una società, questa sì, retrograda che non vuole ancora riconoscere l’assoluta necessità di disancorare i diritti dei figli da quelli dei genitori facendo subire ai primi l’autoritaria imposizione di un interesse non necessariamente proprio. 

Certo un neonato non può sapere nel momento  della nascita quale sia la storia familiare derivante dai propri genitori che meglio richiama la propria identità, ma l’arbitrio di scelta di uno piuttosto che dell’altro cognome non risolve il tema. Ciò anche perché l’identità dei figli è spesso il portato delle fusione di due   diverse storie. E allora perché non proporre la scelta del doppio cognome sempre e comunque con la possibilità di deroga laddove vi sia un supremo interesse del minore da tutelare nel caso specifico?

I tempi sono ormai maturi per fare questo passo che i Trattati internazionali impongono di fare anche alla cultura del nostro Paese senza necessità di scomodare categorie di pensiero o ideologie che si allontanano dal faro ispiratore di tutta la legislazione minorile che è il Supremo interesse del Minore. 

 

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