A colloquio col Prof. Iadeluca, autore di “Falcone e Borsellino”: una storia per diffondere gli anticorpi della legalità

A trent’anni dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, incontriamo il professore Fabio Iadeluca, autore di “Falcone e Borsellino; storia di amicizia e coraggio”, edito da Armando Curcio Editore.

Criminologo e coordinatore del Dipartimento di analisi, studi e monitoraggio dei fenomeni criminali e mafiosi presso la “Pontificia Academia Mariana” racconta le peculiarità del suo libro.

Qual è la particolarità di questa storia?

La sua unicità è rappresentata dall’excursus storico –criminale di quegli anni, con riferimento a passaggi cruciali come il maxi processo a “cosa nostra” che ha costituito la pietra miliare della lotta al crimine organizzato. La sentenza in Cassazione del 30 gennaio 1992 ha rappresentato la più importante vittoria dello Stato e del pool antimafia. E il racconto dettagliato del pentimento di Tommaso Buscetta nel 1984, dopo la seconda guerra di mafia che aveva visto i corleonesi prendere il controllo della “cupola”. Rivelazioni fondamentali che spiegano la struttura criminale gerarchica di “cosa nostra”, com’è nota ancora oggi, con tutte le famiglie al potere e i rispettivi “capi- mandamento”, trasformando le intuizioni investigative in realtà. 

Come mai la scelta del sottotitolo: “Storia di amicizia e coraggio”?

Perché l’amicizia è fratellanza e solidarietà e costituisce la vera essenza della vita. I due grandi amici – Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – che si sono sempre supportati, nelle indagini, come nella vita, sono morti distanza di 57 giorni l’uno dall’altro, per opera di un’efferata vendetta da parte della “cupola”, all’epoca sotto il controllo dei Corleonesi. Non bisogna dimenticarsi che questi giudici sono morti in difesa della libertà e della giustizia. Loro erano certi che “cosa nostra” sarebbe stata sconfitta ed è proprio per questo che il loro ricordo deve rimanere sempre vivo. Il “noi”: – l’essere uniti e solidali – è la vera arma per combattere la mafia. 

Qual è l’obiettivo che si è prefisso?

Sicuramente, tramandare la memoria e diffondere cultura. Le mafie temono lo sviluppo culturale e tutto ciò che possa costituire un’opportunità alternativa sul territorio. Come affermava lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino: «Le mafie non si sconfiggono con l’Esercito ma con un esercito di insegnanti». La lotta alla mafia avviene attraverso la propagazione degli anticorpi della legalità, da diffondere per mezzo della scuola, anche e soprattutto nelle periferie. Bisogna creare una coscienza sociale e a tal proposito abbiamo allestito una collana di libri su questi “eroi della moralità” per fornire esempi positivi alle nuove generazioni, dando risalto chi ha perso la vita in difesa delle istituzioni. Ed è proprio questo il valore aggiunto di questo libro e a tale scopo abbiamo previsto una serie di incontri con gli studenti.

Qual è stata, dunque, la reazione dei più giovani?

C’è stata una grande adesione e partecipazione da parte degli studenti. I ragazzi hanno mostrato grande interesse e hanno interagito ponendo domande molto pertinenti. Continuo a ribadire quanto sia importante il ruolo della cultura: un’azione anti mafia mirata è quella dettata dal convincimento e dal fondamento della cultura. Come Giovanni Falcone era solito dire: «affinché una società si avvii serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il proprio dovere».

Cosa, dunque, l’ha spinta a scrivere “Falcone e Borsellino”?

Il motivo per cui ho deciso di scrivere questa storia è per costruire insieme un percorso di legalità. La mafia toglie la libertà e la dignità, anche alle nuove generazioni. Falcone e Borsellino hanno sempre avuto a cuore i ragazzi e sino all’ultimo, non hanno mai trascurato di incontrarli e dialogare con loro. 

Com’è nato questo suo interesse nel combattere le mafie?

Sono stato sempre molto affascinato da questo fenomeno, tanto da diventare il coordinatore nazionale e internazionale del dipartimento di monitoraggio dei fenomeni criminali presso la Santa Sede. E sono stati proprio i magistrati con i quali ho collaborato che mi hanno fornito le chiavi di lettura per comprendere le mafie. Per capire il fenomeno, bisogna eseguire studi globali che tengano conto del punto di vista storico – sociale – economico e territoriale. La loro forza risiede nella loro storicità, esistendo da oltre 200 anni e non essendo ancora stata estirpata, nonostante le tante vittorie ottenute dallo Stato.

Come può la scuola, da sola, eradicare questi comportamenti criminali sul nascere? 

Insieme alla scuola, collaboreranno anche le istituzioni: il nostro scopo è stabilire un contatto ed essere “propulsori” degli anticorpi della legalità. Intendiamo mettere a disposizione dei materiali e approfondimenti gratuiti da consultare e scaricare sul web e organizzare una serie di dibattiti nelle scuole, a partire da ottobre. La Armando Curcio Editore, con altri enti promotori, istituirà un bando di concorso per le scuole sulla legalità contro le mafie e la violenze di genere: il compito dei partecipanti sarà quello di redigere approfondimenti in sinergia con gli esperti e avviare con loro un percorso dialogico. 

Per contrastare la mafia, non è importante anche sconfiggere la povertà, che in certe aree ne è una concausa?

Sconfiggere la mafia vorrebbe dire annientare la povertà. Se i proventi delle mafie che si aggirano a circa 400-500 miliardi l’anno potessero essere destinati alla società, ci sarebbe più benessere per tutti. 

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