Uno studio rivoluzionario dell’Università di Pisa, recentemente pubblicato sul Journal of Hazardous Materials, ha messo in luce i rischi ambientali legati all’ibuprofene, un antiinfiammatorio ampiamente usato, specialmente durante la pandemia di Covid-19.
La ricerca ha esplorato gli effetti di varie concentrazioni di ibuprofene sulle angiosperme marine, essenziali per l’ecosistema marino in quanto contribuiscono alla protezione delle coste, alla produzione di ossigeno e alla conservazione della biodiversità.
La professoressa Elena Balestri, del dipartimento di Biologia dell’università, ha guidato la ricerca concentrandosi su Cymodocea nodosa, una specie di pianta marina che prospera nelle acque costiere poco profonde, spesso vicine alle foci dei fiumi dove la presenza di inquinanti è maggiore.
Durante la sperimentazione, durata 12 giorni, le piante sono state esposte a concentrazioni di ibuprofene che riflettono quelle trovate nel Mediterraneo.
I risultati mostrano che concentrazioni basse (0,25 e 2,5 microgrammi per litro) inducono stress ossidativo nelle piante senza causare danni permanenti. Tuttavia, a concentrazioni di 25 microgrammi per litro, l’ibuprofene danneggia le membrane cellulari e compromette la fotosintesi, minando la capacità delle piante di resistere ad altri stress ambientali.
“Questo è il primo studio che indaga gli impatti degli antiinfiammatori sulle piante marine,” afferma Balestri. Con un consumo globale di ibuprofene che supera le 10.000 tonnellate annue e previsto in aumento, la necessità di tecnologie avanzate per ridurre l’emissione di tali farmaci negli ecosistemi marini diventa sempre più urgente.
Il team propone lo sviluppo di nuove tecnologie e politiche per limitare la presenza di ibuprofene nei corsi d’acqua e stabilire soglie di tolleranza per la flora marina, oltre che per la fauna. Con il coinvolgimento dei dipartimenti di Biologia, Farmacia, Scienze della Terra, il CISUP e il CIRSEC, l’Università di Pisa è in prima linea nella ricerca degli effetti del cambiamento climatico.