Eugenio Bersellini: “Il sergente di ferro” e le sue vittorie

Se n’è andato a ottantunno anni “Il sergente di ferro” Eugenio Bersellini, dopo una vita trascorsa a masticare e ad insegnare calcio, a vincere e a non vedere adeguatamente riconosciuti i propri meriti.

Perché Bersellini, più di molti altri, è stato un allenatore innovativo e, a tratti, addirittura rivoluzionario, capace, con i suoi metodi aspri ma efficaci, di condurre l’Inter alla conquista del dodicesimo scudetto e di far sì che i nerazzurri reggessero sempre con dignità il confronto con la magna Juve trapattoniana che, in quegli anni, non solo vinceva trofei a raffica ma si consacrava a livello mondiale come una corazzata pressoché inaffondabile. 

Bersellini seppe essere grande sia a Milano che in provincia, portando in Serie A il suo pragmatismo emiliano e difendendo sempre, con le unghie e con i denti, le proprie intuizioni. 

Inoltre, plasmò campioni come “Spillo” Altobelli, proiettandolo verso l’empireo della notte di Madrid dell’82, quando fu suo il terzo gol degli Azzurri contro la Germania che, di fatto, chiuse i conti di una sfida ben indirizzata, in precedenza, dagli juventini Rossi e Tardelli. 

Infine, se la cavò egregiamente anche a Torino, sponda granata, e a Firenze, alzando, nei rutilanti anni Ottanta del reaganismo e del berlusconismo rampanti, la bandiera antica della serietà e della sobrietà, non rassegnandosi mai ad una barbarie che vedeva sorgere sotto i suoi occhi e alla quale non si stancava mai di ribellarsi. 

Ci ha detto addio di domenica, da sportivo autentico, senza clamore, senza pretendere la prima pagina di nessun giornale, senza eccessi, con la consueta discrezione e il suo classico aplomb da gladiatore mite. 

Addio Eugenio, sperando che la tua indomita fierezza non cada nell’oblio.

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