ROMA – Sarebbe una grande perdita se il basket romano dovesse perdere la sua squadra di punta, la Virtus, la società di pallacanestro fondata nella capitale nel 1960.
Eppure di trofei questo team ne ha portati a casa: dalla Supercoppa italiana alla Coppa dei Campioni, passando per la Coppa Intercontinentale e due Coppe Korac. Sta di fatto che dopo l’annuncio del presidente Claudio Toti la situazione sembra essere precipitata e anche questa disciplina sportiva, fiore all’occhiello della capitale, non trova sbocchi futuri, almeno per ora. “Procederò alla ricapitalizzazione della società nel rispetto dei parametri imposti dalla Fip, ma non perfezionerò l’iscrizione al prossimo campionato in mancanza di un quadro chiaro che garantisca la copertura finanziaria della prossima stagione”, sono state le parole di Toti, dopo ipotesi e accordi naufragati, durante i quali nessuno ha voluto fare il cosiddetto grande passo.
Un fallimento, crisi economica inclusa, dovuto alla mancanza di sponsor che non ne hanno voluto sapere, ma anche di strategie che probabilmente non hanno funzionato nella gestione Toti. La pallacanestro non è certo il calcio, anzi, la sua visibilità se la deve guadagnare con molta fatica. Tuttavia anche le istituzioni non sembrano aver aiutato troppo questo sport. Per questo domani i tifosi si sono dati appuntamento sulle scalinate del Campidoglio alle 16,30 per protestare di fronte a questo immobilismo.
Insomma, il 9 luglio scade il termine e potrebbe essere il giorno della scomparsa della Virtus Roma se, come ha anticipato Toti, non verrà coperta la quota d’iscrizione al campionato. Di sicuro la Virtus, come altre squadre italiane, avrebbero il dovere di investire maggiormente nel settore giovanile prima di acquistare giocatori stranieri in un circuito di compra vendite che di fatto indebolisce ulteriormente in casa la popolarità di questa disciplina. Questo è certamente l’unico modo per garantire la continuità di una società e dello sport nazionale che rappresenta. Ma, a parte qualche caso isolato, queste scelte sembrano diventate impopolari. L’avere tutto e subito rimane la parola d’ordine.