Primo Piano sull’Autore. Elisabetta Rocchetti, la crisi non ferma il talento

ASSISI (nostro corrispondente) –  L’attrice e regista Elisabetta Rocchetti è nata a Roma nel 1975 (se trovate una data diversa da questa – parola di Elisabetta – si tratta di un errore).

Ha debuttato nel 1996, partecipando al film Compagna di viaggio, per la regia di Peter Del Monte. Nel 2003 ha vinto il Globo d’Oro, come migliore attrice esordiente, per il film “L’imbalsamatore” per la regia di Matteo Garrone. Tra gli altri suoi lavori cinematografici, ricordiamo: Il cartaio e Non ho sonno, regia di Dario Argento, L’amore è eterno finché dura, regia di Carlo Verdone, e Ti amo in tutte le lingue del mondo, regia di Leonardo Pieraccioni. Per il piccolo schermo ha lavorato, tra l’altro ne Il bello delle donne, in Ti piace Hitchcock?, Caterina e le sue figlie 2 e Terapia d’urgenza. Nel 2006 ha debuttato alla regia nel cortometraggio L’ultima seduta. La graduale maturazione artistica ha raggiunto il culmine con il lungometraggio dal titolo Diciottanni – Il mondo ai miei piedi, con protagonisti i giovani Marco Rulli, Marco Iannitello e Nina Torresi.
L’abbiamo incontrata a Primo Piano sull’Autore, dove è intervenuta al convegno ““Dove va il cinema italiano? Oltre la commedia, le nuove proposte”. In questa intervista rilasciata a Dazebao Elisabetta Rocchetti ci parla di crisi e creatività, dei suoi progetti futuri  e del rapporto con l’altro sesso.

Cosa ti ha portato “L’imbalsamatore” di Matteo Garrone?
E.R. Mi ha portato sicuramente a fare l’attrice in maniera seria. E’ stato il film che mi ha lanciata, anche se prima ero stata scelta da Verdone, Dario Argento, ero stata ingaggiata dai Manetti e all’estero… Non è stato facile mantenere quello standard. Un giorno mi è venuta voglia di realizzare un film mio e l’anno scorso sono stata regista di “Diciottanni – il mondo ai miei piedi”.

Ti piace la regia?
E.R. Oggi sono in attesa dei finanziamenti ministeriali per fare un nuovo film. Non mi sono mai sentita una diva e ho sempre cercato di realizzare cose che avessero a che fare con la creatività e l’arte.

Ha influito la crisi economica sulla possibilità di esprimerti?
E.R. La creatività non viene ammazzata dalla crisi economica. Chi vuole fare un film in questo momento storico lo può fare. Il mio primo film è emblematico. Tanti attori e tecnici erano fermi proprio perché c’era la crisi, io li ho coinvolti: sono venuti praticamente gratis. Alla fine sono riuscita a fare uscire la pellicola nelle sale. Con i mezzi che ci sono adesso, con il digitale, chiunque abbia talento, dati i bassi costi, se sa organizzare le persone può realizzare un film. Oggi c’è la possibilità di montare a casa, mixare a casa. Non credo che la crisi possa fermare chi veramente vuole esprimersi. Chi aspetta la manna dal cielo, la possibilità del grande film, può esserne semmai mortificato…

E il tuo secondo film?
E.R. Il mio secondo film sto cercando di farlo con i soldi dello stato, con le film-commissions… ma se putacaso non dovessi riuscire a ottenere i finanziamenti, non mi fermerò. Ho già il piano B. Ho già chi mi presterà la macchina da presa, chi mi farà le riprese, coinvolgerò gli attori con i soldi o senza… la crisi non può nuocere più di tanto, per selezione naturale chi ha delle cose da dire, riesce a dirle.

Mi puoi fare un esempio?
E.R. Qui a “Primo Piano sull’Autore” c’è Grazia Volpi, che ha prodotto “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, Orso d’oro e candidato agli Oscar. Non è costato nulla, sorretto dalla bellissima idea di valorizzare i detenuti facendoli recitare. Film che ha emozionato perché fatto con l’anima. L’arte del resto è questa.

Perché hai scelto il percorso artistico?
E.R.  Problemi irrisolti nella vita pratica sublimati nell’arte, l’arte è qualcosa di terapeutico che appartiene a chiunque. Mi sono scelta io questa strada, anche se un padre avvocato che si occupava di diritto d’autore mi ha fatto conoscere il mondo dello spettacolo. La mia famiglia, composta di professionisti, mi ha abituata alla fatica, al sacrificio, alla realizzazione di un percorso artistico che abbia sbocchi pratici.

Una donna creativa, il cui lavoro denota forte personalità, ha più o meno fortuna con l’altro sesso?
E.R. Gli uomini hanno paura delle donne creative, con una personalità forte. Tutti gli uomini che ho incontrato, in qualche modo, erano in competizione con la mia forza trascinante. Ho avuto problemi perché un eventuale partner sentiva come se non potesse gestirmi. I maschi italiani  sono un po’ vigliacchi, vogliono aver a che fare con persone prevedibili. Ho avuto problemi a causa del mio carattere determinato. Per esempio, a “Primo Piano sull’Autore” il mio ragazzo non è voluto venire, me ne dispiace, ma io sono venuta lo stesso… il lavoro e la passione sono insopprimibili e vanno coltivati…

E se avessi dei figli?
E.R. Forse questo discorso non lo farei, i figli verrebbero prima di tutto… ma purtroppo non ho dei figli. E visto che non ho figli, anche per questo,  ho l’esigenza di lasciare un segno nella società.

Hai parlato di uomini italiani, pensi sia un atteggiamento culturale dell’Europa del sud?
E. R. Si, all’estero non succede… l’Italia, per quanto emancipata, è ancora un paese maschilista. Lo dico anche come regista. Ho avuto problemi perché ero una donna. La bellezza, sotto certi punti di vista, ti può facilitare perché ha un suo potere… ma quando si parla di soldi,  si ha il pregiudizio che una donna carina sia frivola e non abbia capacità. In Francia, in Inghilterra, è normale che le donne facciano lavori maschili come regia e produzione, in Italia è più difficile.

Elisabetta Rocchetti nella fiction “La squadra” – Video

 

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