Cos’è la Giornata Internazionale per i Bambini Scomparsi e perché KIWANIS PANORMO ha deciso di celebrarla?

ROMA – Kiwanis Panormo è uno dei club associati al KIWANIS INTERNATIONAL che è una delle maggiori associazioni al mondo (se non la più grande in assoluto) ad occuparsi di infanzia e di minori. Il problema dei bambini scomparsi, purtroppo, è uno dei maggiori problemi sociali dei nostri tempi, sia a livello nazionale che internazionale.

Basti pensare ai suoi numeri: secondo stime recenti, almeno 8 milioni di bambini scompaiono ogni anno, vale a dire 22.000 bambini al giorno. Eppure l’attenzione che i media dedicano a queste tematiche spesso è insufficiente. 

È per questo motivo che, dal 1983, il 25 maggio di ogni anno, si celebra la Giornata Internazionale per i Bambini Scomparsi.

Effettivamente si tratta di un numero enorme.

E la realtà potrebbe essere ancora peggiore. Recentemente, il direttore esecutivo dell’Unicef, Geeta Rao Gupta e la specialista di statistiche, Claudia Cappa, hanno dichiarato che almeno 230 milioni di bambini sono “inesistenti”: si tratta di bambini che sono nati, che crescono, che hanno un nome, ma che nessuno sa che esistono. Questo perché non sono mai stati registrati all’anagrafe e non hanno ricevuto un certificato di nascita. Il certificato di nascita è forse il documento più importante che un essere umano possegga: serve a sposarsi, prendere la patente, il passaporto, serve a viaggiare, serve a esistere in modo attivo e fruttuoso nella nostra società. Eppure, l’anno scorso, solo il 60 per cento dei neonati è stato registrato. Ciò significa che spesso neanche le associazioni internazionali possono aiutare questi bambini. Come possono vaccinarli, educarli, proteggerli dai matrimoni infantili, dalla schiavitù, dall’essere arruolati come miniguerrieri, se nessuno sa che esistono? 

Ad esempio, in Libano, l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha stimato che 36.000 bambini siriani (circa il 70% dei 51.000 nati profughi in Libano dall’inizio della guerra nel marzo 2011) sono da considerare apolidi. Non sono stati registrati alla nascita: quindi sono apolidi e senza diritti. Spesso sono figli di genitori profughi che non possono registrare la loro nascita per povertà, per difficoltà burocratiche o per paura. Ciò significa che non possono andare a scuola, essere curati in ospedale e, molto spesso,  sono facili vittime dello sfruttamento minorile. 

Il problema dei bambini scomparsi è un problema che riguarda aree geografiche ben definite o è un problema globale?

Il fenomeno dei bambini scomparsi non è affatto limitato ad alcuni paesi, magari quelli economicamente più in difficoltà o i paesi in via di sviluppo. Lo dimostra il fatto che il 10% dei circa 8 milioni i bambini scomparsi si trovavano negli Stati Uniti. E in Europa spariscono 270 mila bambini. 

Che fine fanno tutti questi bambini, questi minori che scompaiono?

Alcuni scompaiono e non se ne sa più niente, altri finiscono per essere sfruttati nel racket della prostituzione. Molti diventano parte dell’universo del lavoro minorile. Nonostante in quasi tutti i paesi oggi sono in vigore leggi che condannano lo sfruttamento minorile (i primi accordi internazionali in materia risalgano ad oltre un secolo fa), questo fenomeno è ancora ampiamente diffuso. 

Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono 215 milioni i bambini che lavorano in attività che andrebbero abolite; di questi, 152 milioni hanno meno di quindici anni, e 115 milioni svolgono lavori pericolosi.

 Si tratta di minori, spesso di bambini, che vengono impiegati in lavori durissimi e senza alcuna tutela per la loro salute.  Amnesty International, ad esempio, nel rapporto This Is what We Die for, redatto in collaborazione con l’ONG Afrewacht, ha accusato i costruttori di smartphone e computer di ricorrere allo sfruttamento minorile in Cina. La Repubblica democratica del Congo (una delle nazioni più povere al mondo) è tra i maggiori fornitori di coltan, materiale da cui tutte le maggiori industrie produttrici di cellulari ricavano i componenti per le batterie dei cellulari che poi vengono venduti nei paesi occidentali. 

Lo stesso avviene in Ecuador, con la coltivazione delle banane. Ma anche nell’Africa Occidentale e, soprattutto, in Costa d’Avorio dove secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono più di 284.000 i minori costretti a lavorare nelle coltivazioni di cacao. E, proprio in questo paese, Nestlé è la terza compratrice di materie prime mondiale.

In Brasile addirittura per indicare i bambini che vivono per strada, gli operatori sociali preferiscono utilizzare due termini diversi, che tendono ad individuare due grandi tipologie di situazioni esistenziali: meninos “na” rua (bambini “nella” strada) e meninos “de” rua (bambini  “di” strada) Il primo termine descrive una situazione di vita che riguarda decine di milioni di bambini dei paesi del Sud del mondo. Sono i bambini abbandonati che trascorrono intere giornate nella strada: per vagabondare, per giocare, per vendere, per lavorare e per altro ancora. Con il termine di meninos de rua, si fa invece preciso riferimento alla situazione di quei bambini che stabilmente vivono “sulla” strada e “della” strada. Per la grande parte di questi ragazzi si sono interrotti i rapporti con la famiglia e non c’è, se non raramente, ritorno a casa. Ormai è la strada la loro casa.

In  Bolivia, poi, si è andati oltre: non riuscendo ad arrestare il fenomeno, hanno deciso di legalizzarlo. A luglio 2014, il Parlamento boliviano ha approvato una legge che prevede che l’età minima per lavorare sia 14 anni, tuttavia potranno essere autorizzate “eccezioni” per bambini di 12 e addirittura di 10 anni. La giustificazione di Javier Zavaleta, vicepresidente della Camera dei deputati è stata che hanno “modificato il Codice in base alla realtà del paese”.

Un problema che probabilmente riguarda anche la Cina..

Oltre ai casi già citati prima (che sono solo pochissimi esempi di un mondo che si basa sullo sfruttamento minorile), in Cina, l’estrema industrializzazione sta causando un fenomeno sociale nuovo: i “left behind children”. Sono quasi 70 milioni i bambini cinesi abbandonati dalle famiglie costrette a migrare nelle grandi città per lavorare nelle fabbriche. È l’altra faccia della medaglia, uno dei tanti lati oscuri, dello sviluppo economico della Cina: centinaia di migliaia di famiglie cinesi hanno dovuto lasciare le zone più povere del paese e spostarsi nelle grandi metropoli e nei centri urbani, alla ricerca di nuove opportunità lavorative. Per farlo sono state costrette a lasciare i propri figli nei villaggi in cui sono nati.  

Ci sono dati significativi circa i minori scomparsi in Europa?  

Assolutamente sì. 

Ad esempio, poco tempo fa, a Calais, durante lo sgombero dei campi profughi che cercavano di raggiungere la Gran Bretagna attraverso il tunnel della Manica, sono spariti 129 bambini. A denunciarlo è stata l’associazione Help Refugees, che ha censito la popolazione del campo profughi. 

Analogamente  in Turchia. Il flusso di migranti in questo paese è enorme. Eppure pochi hanno parlato del fatto che molti dei minori che sono entrati in Turchia sono diventate vittime di sfruttamento come lavoratori sottopagati per le stesse multinazionali che poi vendono i loro prodotti nei negozi in tutta Europa. Il HYPERLINK “http://business-humanrights.org/en/press-release-garment-brands-not-acting-fast-enough-to-safeguard-syrian-refugees-from-exploitation-in-their-supply-chains” \t “_blank”  Business & Human Rights Resource Center (BHRRC) ha condotto un’indagine per comprendere quali aziende internazionali della moda acquistino capi di abbigliamento realizzati negli stabilimenti turchi dove vengono sfruttati i bambini siriani. Ebbene,  delle 28 aziende contattate, la maggior parte non ha voluto rispondere alle domande di BHRRC; altre hanno ammesso la presenza di bambini negli stabilimenti dei loro fornitori.

Anche qui la soluzione delle autorità nazionali è stata blanda: il Governo turco ha promesso che, a breve, comincerà a rilasciare permessi di lavoro per i profughi siriani. 

Questo fenomeno esiste anche in Italia? E quali sono le sue dimensioni?

Quella del lavoro minorile non è una piaga solo al di fuori dei confini nazionali: secondo i dati resi noti da Save the Children e dall’Ilo, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in Italia sono 340.000 i bambini e gli adolescenti costretti a lavorare in condizioni pericolose per la loro salute o per la loro stessa vita. A confermarlo è la ricerca Game Over, condotta da Save the Children. 

Un problema che riguardail sette per cento dei minori di età tra i 7 e i 15 anni.  Bambini, spesso non ancora ragazzi, che abbandonano la famiglia e la scuola. Non a caso in Italia si registra uno dei tassi di dispersione scolastica più elevati d’Europa (intorno al 18 per cento). Secondo il Guardian, molti dei minori che arrivano in Italia rischiano di finire sfruttati dalle reti criminali o, nel migliore dei casi, sono costretti a lavorare (in nero ovviamente) per ripagare il viaggio verso l’Italia. 

Il problema è che, anche se in quasi tutti i paesi occidentali esistano regole precise sul rispetto dell’ambiente, sui materiali, sulle condizioni di lavoro e sui lavoratori locali, nessuno impone verifiche e limitazioni all’importazione di beni prodotti in paesi dove queste regole non esistono. In altre parole, in nessuno degli oggetti che troviamo nei negozi o nei supermercati c’è scritto quanti anni aveva chi li ha realizzati. Né tanto meno è riportato se questi “lavoratori” erano lì di propria volontà o se, invece, erano stati strappati alla propria famiglia con la forza.

Una delle finalità del KIWANIS INTERNATIONAL è “Promuovere la ricerca e il raggiungimento dei più alti livelli sociali, lavorativi e professionali”. E noi del Kiwanis Panormo pensiamo che non è possibile farlo senza che la gente capisca che la situazione è molto più grave di quanto si pensi: che nel tempo che è stato necessario per questa intervista, nel mondo, si sono perse le tracce si quasi cinquecento bambini. Di loro non si saprà più niente. L’unica traccia che lasceranno, forse, sarà una borsa o la batteria di un cellulare o una merendina venduta in un supermercato dove a nessuno interessa sapere quanti bambini hanno dovuto rinunciare alla propria infanzia per lavorare da schiavi.

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