Città letterarie: un ciclo di incontri a Roma Tre per esplorare gli spazi del sé

Verso la foce, di Gianni Celati, raccontato dall’analisi di Edoardo Camurri

“Sera, in treno. Salito a Parma e diretto a Piacenza, leggo un libro che Tonino Guerra mi ha regalato: uno dei suoi racconti in versi, poemi nel dialetto del suo paese, s’intitola Il viaggio. Due vecchi sposi che abitano a non molti chilometri dal mare, ma non l’hanno mai visto, decidono un giorno di andare in camminata a vederlo.

Sul loro tragitto tutto diventa memorabile nello spazio esterno, come quando le cose vengono agli occhi per la prima volta, toccandoci con le loro apparenze.

Parole ritrovate sotto gli strati di frasi fatte del parlare adulto, qui ogni frase vibra lievemente portando un’immagine.”

Un breve passaggio, uno scatto, un fotogramma interiore che racchiude in sé l’essenza, lo sguardo e allo stesso tempo l’intenzione dei diari di viaggio di Celati, raccolti in Verso la foce.

Un viaggio, appunto, verso la foce del Po, in compagnia di un gruppo di fotografi, tra cui Luigi Ghirri, intenti a restituire una descrizione dei paesaggi italiani.

Un viaggio, un racconto d’osservazione, come lo definisce lo stesso Celati, una scoperta, ma lontana anni luce dalle narrazioni straordinarie, piene di aspettative e meraviglia, a cui spesso siamo abituati.

Ogni viaggio è la scoperta di un luogo o ogni luogo è il prestesto per la scoperta di sé?

Su questi presupposti, incentivandoci ad analizzare i luoghi e il loro legame con le nostre emozioni, i nostri sentimenti e i nostri stati d’animo, si è svolta l’analisi, condotta da Edoardo Camurri e Giovanni Caudo nell’ambito del ciclo di incontri Città letterarie, promosso dal corso di Studi urbani, spazio e comunità dell’Università Roma Tre.

Un continuo e riuscito parallelismo tra le immagini solitarie, silenziose, eterne di Ghirri e il diario di Celati, che narra il suo vagabondare con lo sguardo sospeso nel tempo.

Secondo l’interessante analisi di Camurri, il diario proietta i lettori in una dimensione narrativa senza appigli, capace di liberare la vista da ogni tentazione di classificazione, da ogni rappresentazione o aspettativa preconfezionata. Ma allo stesso tempo capace di darci una descrizione senza tempo dell’anima di quei luoghi.

Chissà cosa avrebbe raccontato Celati oggi, nell’era di Instagram e della narrazione del viaggio oltre la realtà del viaggio. Della costruzione dell’aspettativa e del suo racconto posticcio. Rileggere e rivivere questi testi fa apparire ancora più evidente tale contrasto, è come essere proiettati bruscamente nel reale, in una realtà fatta di epifanie, di un continuo scivolare e perdersi verso un nuovo punto di equilibrio, imparando a vedere il quotidiano oltre lo straordinario.

Gianni Celati

La narrazione di Celati riesce a restituire completamente e profondamente quella sensazione di smarrimento che ognuno di noi ha la prima volta che si trova nella vasta Pianura Padana. Lo sguardo stanco, incapace di soffermarsi su nulla, perché nulla è all’orizzonte.

Allo stesso modo le parole di chi ci racconta questi luoghi non si fermano su alcun punto di arrivo, non trovano un punto di riferimento né una conclusione.

Ecco allora che, nel viaggio lungo la Strada provinciale delle anime, riusciamo a vedere realmente quegli spazi, a percepirne l’essenza, a capire chi li abita, senza alcun tentativo egoista e presuntuoso di appropriarcene.

Questa analisi, necessaria e profonda, apre spiragli importanti, che indagano il legame intimo tra i luoghi e la parola.

C’è da augurarsi che questo breve ciclo di incontri sia solo l’inizio di un percorso, il prologo di un racconto, rivolto a studenti e no, a narratori improvvisati di realtà inesistenti e a progettisti di luoghi e di immaginazioni.

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