Infinity: Michelangelo Pistoletto in mostra per andare oltre i confini delle nostre convinzioni

Incontrare, creare, stravolgere, per scoprire nuove e inaspettate connessioni, fuori e dentro di noi.

È un mondo fatto di contrasti e armonie, esplorazioni ed epifanie, quello messo in mostra da Michelangelo Pistoletto al Chiostro del Bramante a Roma, fino al 15 ottobre, con “Infinity l’arte contemporanea senza limiti”.

Facendo il proprio ingresso all’interno del chiostro cinquecentesco si percepisce cosa intende l’artista per lo “sconfinamento oltre i limiti dell’arte”.

Tra le forme armoniche e misurate dello spazio rinascimentale, irrompe ed esplode (quasi le pareti del chiostro fatichino a contenerlo) il Terzo Paradiso, un enorme serpente colorato che prende la forma del simbolo dell’infinito, rivisitato in versione triplice, trina, seguendo “la scienza di tutte le relazioni e degli equilibri”, che riesce a far convivere in armonia il mondo naturale e quello artificiale, in un continuo e reciproco scambio.

Con questa consapevolezza e questa suggestione si apre il percorso museale, lungo il quale, ad accoglierci, non poteva che esserci lei: la Venere degli stracci. Bistrattata, derisa, al centro di polemiche infuocate, è proprio il caso di dirlo, dopo il vile rogo di Napoli.

Il gran parlare di lei, il tentativo di coglierne i segreti e leggerne l’anima l’hanno resa un po’ più forte, anche le contraddizioni che racchiude ne hanno tratto forza, eppure trovarla così sola e spaesata, intenta a rovistare in quel mucchio informe di stracci, crea ancora un certo senso di smarrimento e imbarazzo.

La bellezza, i canoni classici, le forme aggraziate e perfette stridono in un modo forse inconciliabile con il disordinato caos di inutilità e trascuratezza che quel mucchio di vecchi vestiti trasmette.

Lei nemmeno fa caso al nostro ingresso, ci volta le spalle, non si capisce se per vergogna o se perché troppo impegnata nella sua ricerca di armonia nel caos per far caso a noi. È bello pensare sia questo il motivo, pensare che la sua ricerca sia un monito per tutti noi a non abbandonarci alla comodità, al nuovo, a tutto ciò che è semplice e ordinato, ma ad affrontare ogni giorno la complessità che è in ognuno di noi e nel mondo.

Dopo aver attraversato un salotto di stracci e teiere sbuffanti, ecco lì un’altra sfida, la Grande sfera di giornali, un enorme globo ricoperto di pagine di quotidiani in una stanza angusta, capace appena di contenerla.

È lì ferma a simboleggiare come le notizie, vere o false, circolino, rotolino via, rimbalzino ad una velocità mai vista prima.

Guardare questa enorme sfera è un po’ come guardare il mondo dell’informazione dallo spazio, da una dimensione lontana da sé, necessaria per ritrovare un ambiente fatto di riflessione, approfondimento, riscoperta delle notizie e dei fatti che davvero importano.

In un certo senso la Venere degli stracci all’ingresso offre un filo conduttore all’intero percorso, imponendoci il segno della ricerca, ma anche della speranza, che ritroveremo nelle diverse opere in mostra.

Ed è così che, tra un Mediterraneo fatto di specchi, che ci invita ad amare le diversità e a riconoscerci nelle identità distanti, e un labirinto di cartoni, che ci mette in guardia da vie e percorsi posticci tracciati solo per trarci in inganno (ma che ci sprona anche a riscoprire il valore e il significato del percorso in sé), approdiamo a una sala popolata di figure e di specchi: Quadri specchianti.

Scaffali, viaggiatori solitari, selfie e girotondi, gli specchi sono popolati da figure silenziose e discrete, quasi indifferenti al nostro ingresso.

Qui la nostra immagine si fonde e si confonde con l’opera, quasi a ricordarci, in maniera un po’ più insistente ed esplicita, che in ogni opera d’arte ritroviamo parte di noi, della sensibilità e della percezione che abbiamo sviluppato. In questo caso, la nostra immagine e il nostro vissuto entrano a far parte delle opere, rendendole ogni volta nuove, inedite, ma allo stesso momento sospese nel tempo, tra i visitatori che le hanno attraversate e quelli che lo faranno.

Salendo al piano superiore, in un lugo susseguirsi di neon che ci invitano ad abbattere muri e amare le differenze, arriviamo in una sala completamente rivestita di specchi e tubi al neon: Metro cubo d’infinito in un cubo specchiante, recita il pannello, e mai nome fu più adatto per descrivere la singolare esperienza che ci si appresta a vivere varcando quella soglia.

Lo spazio tra il reale e l’infinito viene abbattuto, per immergerci e farci perdere in un infinito susseguirsi di riflessi e dimensioni. Al centro un cubo, una scatola inviolabile, che racchiude un segreto, una verità, o semplicemente niente, spazio e scoperta.

L’opera, qindi, poò essere letta allo stesso tempo come un invito a perdersi e ad affrontare le molteplici dimensioni del mondo, ma anche ad esplorare i meandri più reconditi della nostra personalità, per scoprire che c’e una scatola nera nascosta, nel profondo, in ognuno di noi.

Attraversando un labirinto di porte anguste, strette tra l’intersezione di due triangoli (Segno d’arte, firma e segno stilistico dell’artista), si giunge alla sala finale della mostra, dove il simbolo della Trinamica è riprodotto stavolta da un insieme di piatti, coperchi, cerchi metallici che il visitatore può suonare, per esprimere o trovare le vibrazioni della propria anima.

L’arte, del resto, nella concezione dell’artista, è depositaria del compito della creazione di una nuova armonia tra estetica ed etica. Un compito complesso, in una società dove entrambe sembrano essersi svuotate di significato per inseguire falsi miti ed effimere soddisfazioni.

Su queste note e su questa riflessione si chiude il percorso della mostra, riportandoci buscamente alla realtà, con una certa violenza, con un sottile fastidio, ma anche con una nuova consapevolezza: quella di chi percepisce frammenti di verità dentro un mondo ordinario e piatto.

Nuovi vati della nostra epoca, siamo chiamati a cercare l’unità dietro la diversità, la bellezza dietro la confusione, le infinite possibilità contenute in uno specchio.

Ognuno attraverserà questo percorso a modo suo, ma nessuno ne resterà indenne, indifferente o distratto: è questo il bello e la potenza dell’arte, capace di smuovere coscienze, abbattere convinzioni, radicare curiosità e ricerca. Una medicina potente e necessaria contro l’omologazione e la superficialità. 

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