Mariano Deidda e il paese che ci vuole

Il musicista italiano si confronta con Pavese poeta.

Una cornice minimalista. Pianoforte e contrabbasso sul palco come ombre. Sullo sfondo le foto in bianco e nero dei due Poeti e tra loro il musicista. Mariano Deidda, che alla poesia di Pessoa e Pavese ha dedicato la propria ricerca artistica, irrompe sul palco del teatro Baltazar Dias di Funchal con una interpretazione emozionante e sempre misurata in un concerto che ripercorre il nucleo della sua carriera. Da Pessoa a Pavese, così lontani, così vicini. Dal poeta portoghese, che Deidda si è intestardito a voler mettere in musica anche in contrasto con la sua etichetta, alla passione di ragazzo per Pavese che trova compimento nella sua maturità artistica. La performance di Deidda al Festival della Letteratura di Madeira lascia sospese nell’aria suggestioni non banali, lo smarrimento per aver potuto toccare l’emozione e la nostalgia per la rapidità con cui è fuggita via. Una decina di brani tratti dai suoi lavori su Pessoa e da quello recentissimo su Pavese Un paese ci vuole si alternano in una serata in cui il pubblico, in stragrande maggioranza portoghese, rimane bilico tra poesia e musica. Notissimo in Portogallo e, per ironia della sorte e forse anche per una mancanza di cultura rispetto all’oggetto della sua ricerca artistica, meno conosciuto in Italia, Deidda rimane folgorato da Pessoa all’Expo Mondiale di Lisbona del 1998. Era allora sotto contratto con la Sony ed era appena uscito il suo lavoro L’era dei replicanti. La major musicale però non vuole saperne di pubblicare il suo primo disco dedicato a Pessoa Deidda interpreta Pessoa giudicato ‘fuori mercato’ per lo stile minimalista “solo versi di Pessoa accompagnati da pianoforte, contrabbasso, violoncello e sax contralto”. Il disco verrà stampato dalla Lusogram in Portogallo e diventerà un grandissimo successo. Solo allora l’Italia comprenderà la grandezza di ciò che si era lasciata sfuggire.
Una storia esemplare quella di questo musicista sardo, colto amante della poesia e della lettura – “nella mia vita ho passato la maggior parte del tempo a leggere” -, appassionato e puro, che speriamo riesca ad essere “profeta in patria” con il suo ultimo lavoro su Pavese, autore che è orgoglio della letteratura e della poesia italiana. “Capito spesso davanti all’Albergo Roma a Torino dove Pavese si è suicidato. E mi chiedo come sia stato possibile che un uomo di 40 anni, bello, moderno, colto, di successo abbia attraversato quel corridoio con venti bustine di sonnifero in tasca sapendo che da lì non sarebbe più uscito.” Da questa riflessione Deidda parte alla ricerca di quell’uomo attraverso le sue poesie e compone un disco sulla resistenza, l’amore, l’amicizia. “Nel disco c’è Nuto, amico d’infanzia di Cesare. Faceva le bigonce per la vendemmia. Era a Torino il giorno prima del suicidio di Pavese e per una serie di coincidenze non riuscirono ad incontrarsi. Il rimpianto di quest’uomo durerà fino al giorno della sua morte, a 90 anni… Ci saranno altri giorni, ci saranno altre voci.” L’enorme forza culturale e civile dell’opera di Paese si rivela attraverso il tocco sapiente e lieve di Deidda che racconta il passato ma ci interroga sul presente: “La forza culturale italiana? Enorme. Ma siamo in un momento di smarrimento. La vita sta cambiando, il nostro pianeta si sta trasformando e l’essere umano tira fuori la sua fragilità … quello che verrà sarà molto meglio di ciò che abbiamo adesso. Io sono ottimista, la tecnologia permetterà ai nostri figli di avere un lavoro gratificante che soddisfi anche il lato spirituale.” E sono ancora le parole di Pavese che accompagnano la riflessione sul paese di cui siamo testimoni: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli. Sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

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