FFF. “S is for Stanley”: Kubrick visto da vicino

Il Fiuggi Film Festival ha onorato il regista americano nel giorno del suo compleanno, il 26 luglio

FIUGGI (nostro inviato) – Grazie al Fiuggi Film Festival è possibile avvicinarsi ai grandi : il genio del cinema, l’innovatore per eccellenza, il visionario capace di sorprendere l’immaginario collettivo ci guarda negli occhi per sussurrarci la sua più intima natura, quella di uomo, capace di mettere gli affetti davanti a tutto, persino davanti alla sua arte. Lo fa attraverso la voce e lo sguardo di Emilio D’Alessandro, l’uomo rimasto al fianco di Kubrick per oltre trent’anni, notte e giorno. L’uomo per il quale Kubrick interruppe le riprese di Eyes Wide Shut quando Emilio decise di tornare in Italia, a Cassino, per stare vicino a suoi anziani genitori. Senza di lui, non solo la vita privata di Kubrick si rattristava ma si fermava anche il suo genio artistico. Come se fosse venuto a mancare un fratello, un figlio.

È questo il Kubrick che emerge dall’intenso documentario realizzato da Alex Infascelli, “S is for Stanley – Trent’anni al volante per Stanley Kubrick” (Italia, Gran Bretagna, 2015), vincitore del David di Donatello 2016 e proiettato al Fiuggi Film Festival. Non avrebbe potuto esserci scelta migliore, un affondo del cinema nel cinema, con una potenza che raramente si riesce a trovare in sala.
Se potesse esserci un incipit di questo documentario, sarebbe così : tutto ebbe inizio in una fredda notte londinese. Nevicava, le strade erano deserte, solo un uomo osava sfidare quella coltre bianca e rigida, Emilio D’Alessandro a bordo del suo taxi privato. Quella notte avrebbe per sempre cambiato la sua vita, ma lui ancora non lo sapeva. Quella notte Emilio accettò una curiosa consegna dall’altra parte della città: la consegna di un fallo gigante. Talmente grande da non entrare nell’auto e sporgere, così, dal finestrino creando non poco imbarazzo per lui e le persone che lo avrebbero visto.
Quel fallo era uno dei più importanti oggetti di scena necessari per andare avanti nelle riprese di Arancia meccanica, cosa che Emilio ignorava. Fu il solo, in tutta Londra, che accettò quella folle consegna. Un uomo apprezzò il coraggio, la puntualità e la riservatezza di Emilio: Kubrick che lo volle incontrare di persona nei giorni seguenti.
“Quel mattino vidi arrivare quest’uomo con la barba lunga e un cespuglio al posto dei capelli – ricorda Emilio – mi ringraziò e mi chiese di presentarmi il giorno successivo”. Lui tornò. Fu accolto da Andros Epaminondas, storico assistente di Kubrick, che gli chiese se sapesse guidare l’Unimog, uno dei più complessi mezzi di trasporto mai realizzati dalla Mercedes. Emilio non solo riuscì ad accenderlo, lo fece uscire dal parcheggio interno dell’abitazione di Kubrick con una sola manovra. Kubrick si affacciò da una finestra, scese in strada ancora scalzo e in pigiama, e disse: “Ma come cazzo hai fatto?” Da quel giorno, per i successivi trenta anni, Emilio si presentò a casa di Kubrick. Qui, comincia il racconto sul regista. Un uomo appassionato di auto e incapace di guidare. Con Emilio condivise questa passione che si estese in ogni più piccolo ambito della sua vita, dall’aggiustare lo zip di un giaccone, al badare ai suoi genitori, fare la spesa, gestire le grandi star di Hollywood tra una ripresa e l’altra, affidargli persino i cospicui assegni ricevuti in pagamento per le sue opere. Emilio era il solo ad avere accesso allo studio privato di Kubrick, il solo al quale affidava il girato giornaliero. Solo con Emilio effettuava sopralluoghi delle location dei suoi futuri capolavori chiedendogli cosa ne pensasse.

Il ritratto di Kubrick composto dalle parole, dai ricordi, dagli aneddoti di Emilio D’Alessandro è toccante, sincero, divertente. È come trovarsi sulle montagne russe o ancora meglio è come trovarsi su una delle auto da corsa che tanto amava Kubrick, sfrecciando su un circuito percorso da Emilio (tra le altre cose, anche campione di Formula Tre e promessa della Formula Uno, sogno che Emilio accantonò per restare vicino a Kubrick). 

Un uomo, Emilio, che pur avendo superato i settanta anni ha ancora dentro di sé il sogno e la meraviglia. Al termine della proiezione, alla domanda del perché avesse accettato di raccontare la sua storia ha risposto che doveva far capire al mondo chi fosse realmente Stanley, perché c’è una distorta visione di lui come uomo. Emilio non risparmia pungenti attacchi alla stampa, rea di aver volontariamente raccontato un Kubrick schivo e paranoico, una personalità borderline che ben combaciava con le sue opere ma che era lontanissima da ciò che Kubrick era in realtà. La ragione, secondo Emilio, è nella scarsa importanza data da Kubrick alla stampa, al suo sottrarsi a interviste e al gossip, al rifiutarsi di aprire il suo privato. Questo avrebbe colpito nell’ego quei giornalisti rimasti non fuori la porta bensì fuori il cancello esterno, sulla strada, alla stregua di passanti non graditi. “ Considerati meno di quegli animali che il regista volentieri accoglieva. Ogni volta che Stanley vedeva una bestiola per strada, lo portava a Childwick Green, la sua residenza. Ormai sembrava di stare in uno zoo. Avevamo persino degli asini. E Stanley esigeva che la prima cosa che facessi al mattino, fosse di far mangiare tutti gli animali, di somministrare loro le medicine se prescritte, di accertarmi della loro pulizia e del loro benessere.”. E ancora, “Stanley mi diceva solo cosa fare, lasciava a me decidere come farlo. È sempre stato così tra noi.”
D’Alessandro, al termine dell’incontro con il pubblico nel suggestivo teatro all’interno della Sala Comunale di Fiuggi, rivolgendosi alla platea dei giovanissimi cineasti, ha detto: “Ragazzi, dentro ognuno di voi c’è qualcosa di speciale che dovete offrire. La fuori c’è qualcuno che la sta cercando, voi ancora non lo sapete come non lo sapevo io. Credeteci.”

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