Tiziana Prina, a capo delle “Edizioni le Assassine”: propone un giallo impegnato, internazionale che valorizza l’autorialità al femminile

In un viaggio ideale all’interno della filiera editoriale contemporanea, ci focalizziamo su una casa editrice incentrata sulla letteratura gialla scritta da donne: le “Edizioni le Assassine.

Per saperne di più, incontriamo la fondatrice del progetto, Tiziana Prina, traduttrice e redattrice, che il 4 marzo alle ore 15.00 interverrà a Roma a “Feminism – fiera dell’editoria e delle donne,” presentando “L’isola degli sciamani” della scrittrice Kim Jay: una cyber-story ambientata a Seoul, attuale ed elettrizzante.

Qual è la mission della sua casa editrice?

La mission che mi prefiggo è, da un lato, l’intrattenimento e dall’altro ampliare gli orizzonti culturali del lettore: non a caso propongo un catalogo di scrittrici che non appartengono al mainstream, ma provengono da ogni latitudine, al fine di rendere conosciuti background e mentalità differenti. Il nostro motto si potrebbe sintetizzare in: “assassine di pregiudizi”, per sfatare anche il mito che le donne non sanno scrivere gialli, una nomea in auge soprattutto nei secolo scorsi, quando si parlava  solo di Edgar Allan Poe e di Conan Doyle.  

Possiamo definirla un’editoria al femminile?

Si, femminile ma non femminista. Nel senso che cerchiamo di valorizzare le scrittrici e il mondo delle donne. 

Quali sono appunto i valori che vuole portare avanti con questo progetto?

Innanzitutto, intendo valorizzare le diverse sfaccettature del mondo editoriale. Le faccio un esempio, nella filiera editoriale è noto che esista ancora un gap di genere: fatto 100, un autore riceve, diciamo, il 75% di recensioni, mentre un’autrice solo il 25%. Noi, al contrario, vorremmo favorire una conoscenza maggiore della scrittura femminile. Anche nella storia della letteratura, molte scrittrici raccontano come sia stato difficile emergere e vivere di questa professione; lo ricorda benissimo la stessa Virginia Woolf. Al giorno d’oggi sono fortunatamente molte di più le autrici che riescono a far sentire la loro voce seppur tra molte difficoltà; tra loro mi piace menzionare: la nostra scrittrice marocchina Bahaa Trabelsi (“La sedia del custode”)  che con una bella penna delinea il suo mondo che da un Islam moderato sta passando a un Islam radicale; la botswanese Unity Dow (“L’urlo dell’innocente”) autrice, ma anche ministro nel suo Paese, che descrive dall’interno le sopraffazioni subite da ragazze adolescenti nelle zone rurali; la malese Chuah Guat Eng che attraverso l’impianto di una detective story tratteggia un affresco della Malesia a partire dal protettorato britannico, incentrandosi sulle malesi di etnia cinese. Nei nostri libri, infatti, è presente  questo: un insight in mondi e tradizioni lontani. 

Si potrebbe, dunque, attribuire ai media, la responsabilità di questa maggiore attenzione al target editoriale maschile?

Sì, ma per fortuna, piano piano certe dinamiche stanno cambiando, pur trattandosi di una tendenza molto difficile da invertire. Alle donne costa ancora molto affermarsi; oltretutto, in tutti i sondaggi, emerge che le donne rappresentano lo “zoccolo duro” dei lettori italiani e noi ne vogliamo tener conto.

Cosa l’ha condotta, invece, a dedicarsi a un’attività nel mondo editoriale?

Per me, si è trattato di un approdo quasi scontato dati i miei studi e il mio percorso lavorativo. Ho vissuto all’estero e ho sempre dimostrato una forte curiosità e interesse per le altre culture e dopo essermi laureata in lingue e letterature moderne con specializzazione in tedesco, mi sono dedicata alla traduzione prima di testi letterari e poi di politica e sociologia: ho tradotto all’incirca sessanta libri  e ho collaborato con una rivista accademica. Mi sono, poi, occupata di scouting per diverse case editrici partecipando alle fiere internazionali, per decidere alla fine  di pubblicare in proprio autrici internazionali che, via via, scoprivo. Ha favorito questa mia scelta anche il cambiamento in atto nel mondo dell’editoria che si è democratizzato, aprendosi a coloro che hanno la voglia, il talento e la follia di esplorarlo. 

Quale obiettivo futuro si pone con la casa editrice?

Mi piacerebbe pubblicare storie forti, che non siano vere e proprie mistery o crime stories, ma che creino suspense, pur senza un vero e proprio delitto, rimanendo sempre nell’ambito dell’editoria femminile. Al momento, però, ci sono già altri romanzi in cantiere e quindi questo progetto dovrà attendere.

Quali sono questi romanzi in cantiere?

È stato da poco pubblicato “Il procuratore muore” di Luisa Valenzuela, giornalista e scrittrice argentina, che a maggio giungerà a Torino per tenere alcune conferenze all’Università: il suo è un “giallo che gode della dignità della letteratura più alta”; l’altro romanzo in uscita è “Stai zitta” di Judy Brown, un’autrice newyorkese che appartiene a una comunità di ebrei ultraortodossi e che racconta il suo mondo chiuso; poi una scrittrice turca e alcuni vintage  che meritano di essere conosciuti dai lettori italiani, non essendo mai stati tradotti. 

Come si può definire?

Inquieta e curiosa allo stesso tempo.

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