Mario Attilieni pubblica “la profezia dell’Autunno”

Il terzo attesissimo capitolo della saga fantasy ispirata al “Trono di Spade”

Mario Attilieni, imprenditore e scrittore lucchese, classe ’86, pubblica il terzo capitolo della saga: “La profezia dell’Autunno”. Un romanzo fantasy con connotazioni allegoriche che ha preso il via nel 2022 con “l’Impero delle Clessidre”, per proseguire con “La vendetta degli Unicorni” e infine con l’ultimo volume conclusivo, che stupirà per gli esiti inediti. Già apprezzato da lettori eterogenei e particolarmente dal mondo nerd, lo incontriamo per saperne di più.

Cosa l’ha spinta a scrivere un libro fantasy

Il fantasy è intriso di magia e la magia è poesia: il fantasy mi permette, dunque, di scatenare la mia vena poetica. Inoltre, accade spesso che la realtà superi l’immaginazione e a volte mi sorge il dubbio che le storie fantasy siano proprio le nostre storie di vita di ogni giorno: il fantasy siamo noi. È un genere che, inoltre, ti consente di scrivere una storia e una geografia tutta tua, partendo da zero: poter creare mondi nuovi è una sensazione molto potente e davvero affascinante.

Da quali autori ha tratto, in particolare, ispirazione?

Molti in realtà. Così, a prima vista, i miei romanzi possono definirsi come la versione mediterranea del “Trono di Spade” di George R. R. Martin. C’è anche molto de “Il meraviglioso mago di Oz” di L. Franz Baum, soprattutto se si considera l’aspetto “cross over” dei romanzi, che contengono diverse chiavi di lettura, anche di tipo socio-economico. Ogni capitolo nasconde una miriade di citazioni implicite – ( i cosiddetti “easter egg”) – e rielabora vicende già descritte da autori del passato, ma, con variazioni originali. Per esempio, la storia del malvagio re Stainer Bianchemura è una rilettura delle vicende del mitico re Candaule (che dà il nome anche al voyeurismo), raccontato da Erodoto. Oppure, quando narro dei “nostri eroi che si ritrovano rinchiusi in una torre con un mostro famelico”: altro non è che la riproposizione in chiave fantasy delle vicende del conte Ugolino. Oppure, ancora, la storia d’amore tra l’aitante cavaliere Xiron Forelle e la bellissima lady Magnolia, ricorda quella di Lancillotto e Ginevra, ma anche, per alcuni versi, la storia di Paolo e Francesca. Anche i nomi (e i cognomi) dei personaggi non sono mai casuali, ma hanno sempre un significato recondito. In realtà potrei andare avanti a oltranza, perché i riferimenti sono moltissimi. Sto, infatti, considerando di aprire un contest con i miei lettori: chi scova tutti gli “easter egg”, potrà vincere un premio: magari, proprio essere incluso all’interno del mio prossimo romanzo. Tornando agli autori cui mi sono ispirato: il titolo del primo romanzo, “L’Impero delle Clessidre”, è un omaggio alla poesia del poeta argentino Borges, “La Dicha” (La felicità). E anche i due capitoli successivi, sono introdotti da una citazione della stessa poesia.

Le piacerebbe che della sua trilogia – di cui “ La profezia dell’Autunno” è l’ultimo capitolo – fosse trasposta in una saga cinematografica?

Certo. E credo che la tipologia di romanzo così come lo stile narrativo si adattino anche particolarmente bene. Nello specifico, quando invento un personaggio, cerco di immaginarmelo sempre sulla base dell’attore che mi piacerebbe lo interpretasse. Per esempio, l’anziano e saggio “Krauno Pferd” potrebbe essere interpretato da Giancarlo Giannini o da Donald Sutherland. Per sua sorella “Tusa”, sarebbe stata perfetta la compianta Virna Lisi. Per il “principe degli Unicorni” avrei visto bene un Brad Pitt da giovane. Il protagonista, Achille, me lo sono immaginato come Tom Holland o Michael J Fox (il mio mito). Anche qui potrei proseguire a lungo…

In che cosa quest’ultimo capitolo differisce rispetto agli altri due precedenti: qual è la sua maggiore peculiarità?

Il finale, indubbiamente. I tre romanzi che compongono la saga: “L’Impero delle Clessidre”, “La Vendetta degli Unicorni” e, appunto, quest’ultimo, “La Profezia dell’Autunno” sono, in realtà, un’unica storia, che, per esigenze editoriali, è stata suddivisa in tre volumi. Il finale è dirompente e provocatorio: tutto ritorna al proprio posto e la storia acquisisce il suo significato definitivo.

Il suo romanzo è un fantasy, ma con implicazioni politiche e sociologiche, economiche. Vorrebbe spiegarlo meglio?

In realtà sono moltissime. La Zimania, il continente immaginario in cui si svolge la vicenda, era un unico Impero; morto il suo fondatore, l’Imperatore Oriam “il Grande”, è stata suddivisa in quattro regni, con a capo i suoi quattro nipoti. Oltre agli essere umani, in Zimania vivono altre creature, per esempio i giganti, che hanno una capacità produttiva superiore agli umani sia per la loro forza, sia perché l’Imperatore ha accordato loro il privilegio di non dover pagare le tasse, cosa che invece gli umani sono costretti a fare. Questo conferisce ai giganti un vantaggio competitivo enorme: è facile leggere in controluce i giganti come i “big dell’economia mondiale” (magari con sede in Lussemburgo) che fanno concorrenza sleale ai piccoli commercianti locali. E ancora, in questi quattro regni dilaga la crisi economica e ognuno dei re cerca una ricetta economica per superarla: il re del Sud vorrebbe uscire dalla moneta unica dell’Impero; quello del Nord, mediante la magia, vorrebbe il ferro in oro (ma questo ingenererà un surplus di oro e quindi inflazione); il re dell’Ovest, invece, apporrà il calmiere dei prezzi sui beni e servizi, inclusa la prostituzione. Quest’ultima misura condurrà anche a situazioni goliardiche, che alleggeriranno e gioveranno al clima narrativo.

Ha già in cantiere altri lavori editoriali?

Sì, sempre romanzi dello stesso genere: un tipo di fantasy interconnesso col mondo contemporaneo. Per esempio, nel nostro mondo ci serviamo di internet, ma ovviamente in Zimania non potrebbe esistere. Però, in Zimania è presente la magia che ricrea gli stessi effetti di internet: sia i giganti che gli umani possono utilizzare draghetti volanti addomesticati, come corrieri, per trasportare merci e messaggi da un luogo all’altro. Una rete di draghi magici che si sostituisce alla rete distributiva di internet. Mentre noi inviamo un’email che viene codificata nell’etere tramite un preciso codice binario, loro affidano le loro pergamene a un draghetto volante. Noi ordiniamo su Amazon, mentre loro soffiano in un corno magico per richiamare un draghetto che si palesa immediatamente, con una nuova spada, appena forgiata all’altro capo dell’Impero. Sto lavorando, per esempio, alla storia di una regina che, a causa di una maledizione, non riesce a trovare l’amore. Per questo, servendosi della magia, creerà un sistema corrispondente alle nostre applicazioni per incontri telematici. Con effetti, ancora, tutti da scoprire.

A che tipo di lettore consiglierebbe il suo romanzo?

Ironicamente, non ai deboli di cuore: questo senza dubbio! In generale, però, a tutti, compresi quelli che non amano il fantasy: soprattutto lo consiglierei a quelli che non amano questo genere. I feedback che sto ricevendo sono, infatti, di questo tipo: «Guarda, Mario, il fantasy non è il mio genere, ma il tuo è un ”fantasy che non è un fantasy e mi piace moltissimo”». I protagonisti della storia: Dante e Achille, sono rispettivamente padre e figlio, che rappresentano precisamente l’autore e il lettore. Dunque, posso senz’altro dire che i miei libri sono scritti per chi legge, il quale si ritrova immerso nella storia, come se fosse lui il protagonista. Possiamo proprio dire che è il lettore, il vero il protagonista.

Come si definirebbe in una parola?

Non saprei davvero. Come si definisce uno che al primo approccio può sempre accademico – anche un po’ “palloso” – ma poi si rivela divertente, persino, spregiudicato?

Sorprendente! Forse è questa la parola adatta. E così sono i miei tre romanzi: all’inizio sembrano ostici, stranianti, ma poi alla vista si apre un mondo affascinante e innovativo.

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