Un tuffo per una fuga immortale

“Se passi davanti a una chiesa e senti suonare un organo, entra e mettiti ad ascoltare. Se poi hai la fortuna di poterti tu stesso sedere a un organo, prova la tastiera con le tue piccole dita e rimarrai stupito dinanzi a quell’immane potenza della musica.”

Sono alcune piccole note, regole di vita musicale (Musikalische Haus und Lebensregeln) compilate da Robert Schumann a compendio del suo Album per la gioventù, pubblicato nel 1848. Se oggi, per caso, il tuo orecchio scorge una musica di Bach interpretata all’organo da Karl Richter, fermati subito, chiudi gli occhi e – ti dico – rimarrai beato ad ascoltare senza patire noia. Le note sembrano scolpite michelangiolescamente nella roccia e chiacchierano, s’animano e corrono a costruire un paradiso pagano dove le voci si rincorrono ordinate.

Muove, mentre scrivo, un tema di fuga principiato con registri dal suono nobile e nasale, a cui attorno germogliano, con candore, eleganti melodie di cinguettanti mondi in contrappunto. Armonicamente il suono si fa sempre più presente, e profondo, in un immaginario sonoro carico di sfumature, che scopre nudi dall’ordine dorico.

S’afferma a poco a poco, netta presso un inno sacro, una processione che s’ode, mistica, menar per la calle tra nacchere e sapori di fado, a guisa d’un religioso fandango. La lettera di Bach è solo pretenziosa, e il sentiero non è quello nuziale d’una antica passacaglia (Bwv 582) qualunque, ma d’una pia prece recitata e passeggiata in un rosario spettacolare che, camaleontico, s’ostina a compiere l’ennesima stazione.

Karl Richter è l’interprete ideale – tecnicamente impeccabile – del Bach organistico; seduce il pubblico con l’intensità di un amante colto e sapiente, capace di coinvolgerti e travolgerti persino tra gli incensi di quei misteri sacri e accessibili a pochi, fatti di simboli ed epifanie.

Il barocco delle meraviglie aveva già creduto nella familiarità di motivi noti che, rivolti, canonizzati e incrociati, riempivano le fredde giornate nelle chiese luterane della gente comune. L’abilità del Kantor, Bach, era ormai provata nello sviluppo dei temi, che improvvisamente si trasformavano in fughe, preludi e fantastiche visioni che s’intrecciavano a piacimento (quodlibet).

La fuga tripla sull’inno di Sant’Anna (BWV 552) o quella scritta sulla nota melodia della “Bassa Fiamminga” (BWV 542) dal sapore esotico e caratteristico tanto diffuso in terra belga, il fitto ricamo che avvolge quasi l’eco dell’aria “Geliebter Jesu, du, du allein sollst meiner Seelen” BWV 16 pure trasformata nel tema della fuga in la minore (BWV 543), ci riportano tutte al mondo delle Cantate. Un giardino delle delizie, fertile d’ispirazione per ogni traduzione organistica.

E con lo stesso piglio Richter affronta le trascrizioni originali proposte in questa raccolta della Deutche Grammophone. In quasi quattro ore di musica, affiorano i corali pubblicati da Johann Georg Schübler nel 1748: Wachet auf, ruft uns die Stimme (BWV 645) e Kommst du nun, Jesu, vom Himmel herunter (BWV 650), ovvero trii ricavati dalle arie principali delle Cantate BWV 140 e 136, mentre le celebri Toccate catalogate 538, 540, 565 s’alternano a sviluppare i soliti temi caratteristici che fanno il verso alle spensierate feste dipinte da Bruegel, animate da reminiscenze gotiche e lubecchiane.

Persino le Sonate per organo a tre parti (BWV 525, 526, 529) celebrano quel gusto Italiano di concertare in un acrobatico equilibrio, che sembra muovere strumenti differenti, in una scelta indovinata di temi e motivi riconducibili a frammenti archeologici, affiorati “innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d’Ercole dove nel volgere di un giorno e di una brutta notte tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve” (Platone, Timeo).

Così vola libero quel tuffatore di Paestum – si libra nell’aria e rimane sospeso tra flutti e colonne – vivo ed eterno a sfidare il tempo, proprio come queste musiche, suonate con sapienza, che nonostante gli slanci del progresso rimangono ancora attuali.

Karl Richter muore nel 1981 e lascia al mondo il suo Bach, così bello e perfetto che proprio non vuole naufragare in questo suo mare e si lascia ammirare, mentre, immortale, si tuffa nell’infinito.

Paolo De Matthaeis

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