Abbiamo incontrato Giorgia Calò, curatrice di arte contemporanea e Assessore alla Cultura e all’Archivio storico della Comunità ebraica di Roma. In un clima crescente di aggressività sociale, violenze fisiche e verbali, xenofobia, egocentrismo, appare sempre più importante ricordare e progettare contro l’odio. Con lei parliamo del suo impegno in tal senso.
Partiamo proprio dal tuo lavoro di Assessore, quanto hai portato del tuo background culturale e professionale nel tuo incarico?
Devo ammettere che è stato uno scambio reciproco. In primo luogo voglio ricordare che la comunità ebraica risiede a Roma da oltre duemila anni ed è la più antica d’Europa. Arrivati nell’Urbe nel II secolo a.C. come mercanti e ambasciatori e poi come schiavi, come testimoniano i bassorilievi dell’Arco di Tito, a seguito della distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., i Benè Romì (che in ebraico significa figli di Roma), fanno quindi parte del tessuto sociale della città praticamente da sempre. Rivestire i panni di assessore mi ha permesso di entrare nel profondo, di analizzare alcuni aspetti della nostra cultura, dei nostri usi e tradizioni per restituirli al pubblico e alla città sotto forma di eventi culturali. Penso ad esempio all’iniziativa che il Mibact promosse nel 2016 dal titolo “Le vie del Giubileo”. Si trattava di venti percorsi culturali atti a svelare storia, arte e religioni che hanno animato Roma per venti secoli. Ovviamente non poteva mancare il percorso legato alla storia e alla vita culturale della Comunità ebraica di Roma. Dal Tempio di Ostia Antica, testimonianza straordinaria della riconfigurazione dell’ebraismo dei primi secoli della diaspora, alle Catacombe ebraiche di Vigna Randanini, dall’ex ghetto dove gli ebrei furono costretti a vivere in maniera forzata per 300 anni alla Sinagoga Maggiore, costruita nel 1901-04 da Costa e Armanni, splendido esempio si stile eclettico dove si trova il Museo ebraico, tutto questo racconta la nostra storia millenaria. Basta camminare lungo le strade di Roma per rendersi conto della presenza viva e vivace della comunità.
Tornando alla tua domanda, sicuramente la mia inclinazione verso il contemporaneo ha introdotto altre chiavi di lettura e altri modi per veicolare, promuovere e far conoscere la cultura ebraica. La mia professione di curatore mi ha poi aiutato nella realizzazione di eventi museali di ampio respiro. Penso alla mostra dedicata al fotografo israeliano David Rubinger organizzata in occasione del settantesimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele (Museo in Trastevere, 2018), o alla mostra di Mauro Maugliani “Étoiles Filantes” dedicata ai bambini della shoah e realizzata per il Giorno della memoria dello scorso anno (Macro Testaccio 2018), o ancora la mostra di Paola Levi Montalcini “Libro aperto” aperta in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica (Museo Ebraico, 2016).
Come interpreti quello che mi sento di definire un impegno civile più che un lavoro nella Comunità e nella città di Roma?
Devi sapere che tutte le cariche istituzionali all’interno della comunità sono ricoperte a titolo di volontariato, dunque tra le motivazioni principali che animano questo lavoro sta proprio l’impegno civile, la volontà di arricchire la città attraverso la conoscenza della storia di una comunità per certi aspetti ancora poco conosciuta. Per questo è molto importante tessere rapporti di collaborazione con le istituzioni capitoline e coinvolgere scuole pubbliche, teatri, musei, sale cinematografiche, fondazioni come luoghi privilegiati per arrivare ad un pubblico vasto ed eterogeneo. La storia del popolo ebraico noi la conosciamo, è bene veicolarla all’esterno perché, come gli eventi del passato (e purtroppo anche del presente) ci insegnano, molta intolleranza è generata dall’ignoranza, dalla non conoscenza.
Domenica 27 gennaio è il Giorno della Memoria. Uno dei problemi che appare sempre più evidente, insieme al crescente antisemitismo – che inserirei nella più ampia tensione sociale caratterizzata da quotidiana aggressività fisica e psicologica – è la progressiva scomparsa degli ultimi superstiti dell’Olocausto, memoria vivente di ciò che è stato. Come ritieni si debba ora lavorare perché non accada più ciò che fu?
La scomparsa dei sopravvissuti ai campi di sterminio è direttamente proporzionale all’aumento dei negazionisti e questo è un dato tanto reale quanto allarmante. In quanto ebrea e nipote di un deportato ad Auschwitz sento pesante come un macigno il passaggio di testimone. Non sono una fautrice degli eventi sulla shoah, la storia del popolo ebraico è una storia che parla di vita e non di morte malgrado le vessazioni subite nei secoli, è una storia fatta di uomini straordinari che hanno prodotto arte, letteratura, musica, scienza, filosofia e tanto altro. Solo per fare un esempio, fino a maggio il Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco e il Museo Ebraico di Roma ospitano una bellissima mostra su Ludwig Pollak. Personaggio sconosciuto a molti, Pollak nasce a Praga 1868 e muore ad Auschwitz 1943, catturato durante il rastrellamento di Roma il 16 ottobre 1943. Egli era l’esempio di ebreo intellettuale perfettamente integrato nella cultura occidentale, iscritto alla comunità ebraica di Roma in cui visse per molti anni, fu uno dei maggiori esperti di antichità della sua epoca, grande archeologo, abilissimo mercante d’arte e consulente dei più importanti collezionisti dell’epoca. Tra le sue scoperte va citato il ritrovamento del braccio originale del Laocoonte, da lui stesso donato al Vaticano. Ma tornando a noi. Sono cosciente dell’importanza di perpetuare la memoria e per mantenerla viva bisogna lavorare non sui ma con i giovani. Per tali ragioni la comunità ha accolto con grande piacere la richiesta di collaborazione da parte del Comune di Roma nella mostra “Testimoni di Testimoni. Ricordare e raccontare Auschwitz” che si tiene al Palaexpo e che il 27 gennaio sarà ad ingresso gratuito. La mostra è ideata da un gruppo di studenti di ritorno dai viaggi della memoria e realizzata da Studio Azzurro che ha messo in scena un percorso narrativo di forte impatto emotivo. È una mostra pensata, realizzata e voluta dai giovani e sostenuta dall’Assessorato alla crescita culturale della Capitale e da Palaexpo. Questo è un segnale importante su cosa la città può e vuole fare. Vorrei inoltre citare il lavoro alacre della Fondazione Museo della shoah di Roma, con le sue numerose attività di ricerca e storicizzazione del periodo più buio della storia dell’umanità.
Tutti devono sopravvivere grazie al nostro ricordo e alla nostra memoria. Abbiamo il dovere di ricordare e se non è possibile superare i traumi di ciò che è stato, attraverso la resilienza ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi drammatici subiti dal popolo ebraico, accendiamo le luci della memoria per non dimenticare il dolore e per costruire un futuro degno di essere vissuto dalle generazioni future. Con il trascorrere del tempo dobbiamo iniziare a fare i conti con la necessità di costruire una ‘memoria della Memoria’. A maggior ragione che non mancano segnali preoccupanti: vedere il ‘’Mein Kampf’’ esposto nelle bancarelle di libri quando non addirittura scelto come primo libro tra i dieci preferiti da dieci classi di corrispondenti città italiane ( il Ministero dell’Istruzione ha avviato un’indagine nel 2016); rispolverare I Protocolli dei Savi di Sion, uno dei falsi più grossolani e tragici della storia; o gli insulti da stadio sfruttando terribilmente l’immagine di Anna Frank e ancora le pietre d’inciampo divelte qualche settimana fa nel rione Monti a Roma.
Gli esempi che ho citato restituiscono il dramma di un antisemitismo che non conosce status sociali: si va dal politico allo studente, al tifoso sportivo. Questo è davvero preoccupante e per questo l’impegno di creare un percorso che parli anche attraverso linguaggi culturali, è fondamentale per far capire “ciò che è stato” affinché non accada più.
In che modo la cultura e l’arte possono lavorare in tale direzione?
Come storica dell’arte non può che essere impresso nella mia mente il monito di Adorno secondo cui non si poteva più fare poesia dopo Auschwitz. Ebbene, nel corso dei decenni che ci separano da quel terribile periodo, gli uomini hanno dimostrato di arrivare attraverso il loro lavoro, la loro arte, la loro poesia, negli interstizi più bui della storia contemporanea, nel tentativo di ricomporre i frammenti e le tracce del passato in un processo che potremmo definire di rappresentazione critica.
Vuoi raccontarci brevemente i progetti per il Giorno della Memoria?
Anche quest’anno sono numerose le attività culturali realizzate in occasione del Giorno della Memoria che si strutturano su un fitto programma di appuntamenti coordinato da Roma Capitale sotto il titolo “Memoria Genera Futuro”. Come ogni anno abbiamo organizzato presentazioni di libri, spettacoli, mostre e conferenze, già dai primi di gennaio. Tra le numerose attività, abbiamo realizzato un convegno al Senato che prendeva le mosse dall’ultima pubblicazione di Fabio Isman “1938. L’Italia razzista” (Il Mulino ed.); lo spettacolo di Gianpiero Pumo “La belva giudea” al teatro di Villa Torlonia; la proiezione del film di Marina Piperno e Luigi Faccini “Diaspora. Ogni fine è un inizio” alla Casa della Memoria. Tra gli eventi che si svolgeranno prossimamente lo spettacolo di Gimmi Basilotta “Viaggio ad Auschwitz A/R” al Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani (giovedì 31 gennaio) e la presentazione del libro di Gianluca falanga “Storia di un diplomatico” alla Casina dei Vallati – Fondazione Museo della Shoah (martedì 12 febbraio). Un altro appuntamento che tengo a citare è il concerto di Evelina Meghnagi realizzato dal Parco archeologico del Colosseo con la nostra collaborazione. L’evento musicale, accompagnato dalla lettura di testi appositamente selezionati è aperto a tutti i visitatori del Parco e si svolgerà il 27 gennaio davanti l’Arco di Tito, luogo simbolo dell’inizio della diaspora ebraica.
Giorgia Calò (Roma, 1978), PhD, storica, critica d’arte e curatrice freelance. Nel 2009 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Storia dell’Arte Contemporanea (borsa di studio triennale, Sapienza Università di Roma). Autrice di numerosi saggi e contributi critici in pubblicazioni di carattere scientifico, cataloghi e riviste di settore, ha curato mostre per musei e gallerie private. Dal 2010 si dedica all’arte contemporanea israeliana pubblicando articoli e saggi e partecipando a talk e convegni. Nel 2015 ha creato con Massimiliano Tonelli la rivista Artribune Israel. Dall’estate dello stesso anno è Assessore alla Cultura e Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma.
1- David-Rubinger-mostra-Museo-di-Roma-in-Trastevere-2018
2-3 Studio Azzurro, Testimoni di Testimoni, 2019, courtesy Palazzo delle Esposizioni, Roma
4 – Mauro Maugliani. Étoiles filantes, Mattatoio – Roma – dal 30/01/18 al 18/03/18